Fronte comune per aumentare gli stipendi degli insegnanti

Allineare i compensi alla media europea, lotta al precariato e inserimento di un percorso di carriera, poi formazione e attenzione ai prof sostegno: i temi più trattati

di Eugenio Bruno

L’unica eccezione al silenzio assordante che ha circondato il mondo della scuola nella campagna elettorale che volge ormai al termine riguarda gli insegnanti. E, in particolare, il loro stipendio. A innescare la miccia è stato il Pd in pieno agosto al grido di ”Conoscere è potere”. Così si chiamava il piano dem da 10 miliardi in 5 anni per la scuola che partiva dalla necessità di adeguare la retribuzione dei professori italiani a quella dei loro colleghi europei.

Il tema è di estrema attualità visto il gap che ogni anno Eurydice ci ricorda: a inizio carriera un prof italiano guadagna, come i suoi colleghi francesi, portoghesi e maltesi, tra 22.000 e 29.000 euro lordi annui ma altrove (in Belgio, Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia, Islanda e Norvegia) ci si colloca tra i 30.000 e i 49.000 euro o addirittura oltre i 50.000 euro (Danimarca, Germania, Lussemburgo, Svizzera e Liechtenstein). Se si aggiunge il fatto che nell’ultimo quinquennio (prima ancora cioè che l’inflazione iniziasse a galoppare) le paghe sono rimaste ferme, complice anche una stasi di oltre tre anni sul rinnovo del contratto di categoria, se ne capisce ancora più l’attualità. In un contesto complessivo che vede tutte le forze politiche preoccuparsi, almeno a parole, del lavoro dei prof. Sia di ruolo che precari

Prendiamo l’alleanza Fi-FdI-Lega. A dettare la linea comune all’intero centrodestra ci pensa l’accordo quadro ”Per l’Italia”, dove al secondo punto del capitolo Scuola – dopo la revisione in senso meritocratico dell’intero percorso scolastico – troviamo il «piano per l’eliminazione del precariato del personale docente e investimento nella formazione e aggiornamento dei docenti». Con soluzioni o sfumature che cambiano poi da partito a partito. Ad esempio, Fratelli d’Italia punta a valorizzare la professione del docente, da un lato, con il «contrasto al precariato storico e alla discontinuità didattica» e, dall’altro, attraverso «l’aggiornamento continuo per gli insegnanti» e il «progressivo allineamento» dei loro stipendi alla «media europea».

Un occhio di riguardo per i precari promette di averlo anche il Carroccio. Il quinto dei cinque «interventi fondamentali» per il mondo dell’istruzione è un mix tra «superare il precariato, coprire la carenza personale docente e Ata, adeguare gli stipendi». Sul punto, infatti, si legge: «È vero che nel 2026 potrebbero servire 30 mila docenti in meno a seguito del calo demografico, per cui dovremmo addirittura ringraziare se si finanzierà lo stesso numero di lavoratori della scuola. Ma si dimentica – aggiunge – che gli uffici scolastici sono costretti ogni anno a cercare 150/200 mila supplenti». Il ragionamento che c’è dietro è che, ferma restando l’invarianza di spesa, se comunque dobbiamo pagare un docente perché allora non assumerlo? Assumerlo significa però ricostruirgli la carriera e, dunque, in realtà servono risorse aggiuntive.

Al Partito democratico, come detto, va dato il merito di aver acceso per primo i riflettori della campagna elettorale sullo stipendio troppo basso dei docenti. Nel suo piano per la scuola da 10 miliardi si legge: «Vogliamo rimettere al centro la scuola e restituire al mestiere dell’insegnante il ruolo di dignità e centralità che merita, garantendo una formazione adeguata e continua e riportando, nei prossimi cinque anni, gli stipendi in linea con la media europea». Un proposito accompagnato anche da quello – condiviso con praticamente tutte le altre forze politiche – di avere più docenti specializzati sul sostegno.

Lo sottolineano, ad esempio, Verdi e sinistra italiana quando auspicano «l’assunzione di un numero molto più ampio di docenti a tempo indeterminato, sia di base che di sostegno, anche stabilizzando coloro che insegnano precariamente da più tempo». Sul punto, nelle righe successive, si legge che: «Va aperta una discussione seria sul superamento del precariato e sulla formazione dei docenti. Serve una riforma che vada in tutt’altra direzione: garantire percorsi lineari e costanti per un lavoro stabile e una formazione rigorosa, seria e gratuita. È necessario che i docenti siano numerosi in rapporto agli studenti, siano ben formati e soprattutto siano stabili e possano garantire quella continuità didattica che è presupposto fondamentale per qualsiasi progettualità curricolare». Con la promessa generale di portare gli investimenti in istruzione al 6% del Pil, in media con il resto dell’Ue, mentre non adesso non arriviamo neanche al 4 per cento.

Ampio, quanto meno nelle intenzioni, è il paragrafo che il Terzo polo dedica alla professione docente. Si parte, infatti, con l’invito «a firmare il contratto scaduto da troppi anni in modo da garantire un aumento significativo dei salari di tutto il corpo docente»; si prosegue sostenendo che « in parallelo bisogna introdurre forme di carriera per il personale della scuola in modo da riconoscere anche formalmente le diverse professionalità che affiancano il dirigente scolastico nel funzionamento organizzativo e didattico, nonché le figure che costituiscono un vero e proprio middle management». E si conclude sottolineando che sia per i docenti che per il personale tecnico-amministrativo (Ata) «si deve abbattere la percentuale di personale precario, riconducendola a livelli fisiologici». Variegata è anche la proposta sul sostegno che prevede, tra l’altro, l’idea di dare «più fondi alle scuole per stipulare convenzioni stabili con figure esperte per supportare i ragazzi in difficoltà».

Le scelte degli altri

Più concise le soluzioni per il futuro degli insegnanti che arrivano dagli altri schieramenti. Prendiamo l’annuncio del Movimento 5 Stelle che chiede «l’adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei». O ancora Unione popolare che mette insieme la «stabilizzazione del personale precario della scuola con almeno 36 mesi di servizio con procedura speciale» con la «cancellazione della riforma Bianchi del reclutamento del personale docente». Una riforma che in realtà, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, è prevista dal Pnrr.

fonte: il sole 24 ore

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