Scuola, doppio svantaggio per i bambini di seconda generazione
di DI Antonio Abatemarco, Immacolata Marino e Giuseppe Russo, La Voce.info
I bambini iscritti troppo presto alla scuola primaria hanno più difficoltà in italiano e in matematica, soprattutto se sono figli di immigrati. Offrire un supporto appropriato è una misura di equità educativa, ma anche una strategia di integrazione.
Quanto contano le disuguaglianze socioeconomiche
Negli ultimi anni, è cresciuta l’attenzione verso l’andamento scolastico dei bambini di seconda generazione. Nati in Italia da genitori stranieri, questi alunni condividono il contesto educativo e linguistico dei loro coetanei nativi, ma possono trovarsi ad affrontare difficoltà aggiuntive legate alle condizioni familiari e sociali. In media, le famiglie immigrate vivono in contesti socioeconomici più fragili, con redditi inferiori e una minore padronanza della lingua italiana. Questi fattori sono ben documentati nella letteratura e si riflettono nei risultati scolastici: nei dati Invalsi da noi analizzati, il divario medio è pari a 8,25 punti percentuali in italiano e 7,14 in matematica.
Il divario riflette in larga parte le diseguaglianze socioeconomiche. Ma se tutto dipendesse solo dallo status socioeconomico, a parità di condizioni le differenze tra nativi e seconda generazione dovrebbero annullarsi.
Se invece si continua a osservare una differenza significativa a danno della seconda generazione, siamo di fronte al cosiddetto “doppio svantaggio”, ovvero a un’ulteriore penalizzazione dovuta all’interazione tra due ostacoli. In un nostro contributo, ci siamo chiesti se la seconda generazione nel nostro paese sia colpita da questa penalità; in altri termini, se il retroterra migratorio amplifichi alcuni noti fattori di fragilità tra i bambini.
Gli effetti dell’età alla scuola primaria
Nel nostro lavoro ci siamo concentrati sugli “age effects”, cioè gli effetti dell’età nei primi anni della scuola primaria. Come i genitori sanno bene, in età infantile i figli cambiano e crescono anche da un giorno all’altro, e pochi mesi di differenza si traducono in disparità importanti nella maturità fisica, cognitiva ed emotiva. Il vantaggio derivante dalla maggiore maturità è detto “effetto dell’età assoluta”. Tuttavia, a pesare di più è l’età relativa, ovvero il confronto con i compagni di classe: i bambini più giovani si sentono spesso meno capaci e maturi, con effetti negativi sull’autostima e sul rendimento. Il meccanismo, molto studiato in letteratura, è noto come “effetto dell’età relativa”.
Gli “age effects” sono un elemento di fragilità perché legano il successo scolastico a un fattore puramente anagrafico: i bambini arrivati primi alla lotteria della nascita ottengono risultati migliori. È ampiamente documentato che non si esauriscono nei primi anni: se non corretti, tendono ad accumularsi e a influenzare anche la vita adulta. Date le modalità di iscrizione a scuola, in Italia la differenza di età tra i bambini più grandi e più piccoli della stessa classe può arrivare a 14 mesi: è infatti possibile anticipare l’iscrizione a cinque anni, una prassi ampiamente diffusa.
La figura 1 mostra che la propensione ad anticipare l’iscrizione varia tra regioni, ma non in modo sistematico tra nativi e seconda generazione. Le famiglie di seconda generazione non sembrano quindi adottare comportamenti diversi da quelle autoctone e questo rafforza la validità della nostra analisi. Infatti, in altri paesi, come gli Stati Uniti, esistono forti divergenze nei comportamenti di iscrizione scolastica tra gruppi sociali diversi. In Italia, invece, le regole di accesso e l’offerta pubblica contribuiscono a mantenere una certa uniformità, che rende più solido il confronto.
Figura 1 – Percentuale di bambini che anticipano l’ingresso alla scuola primaria
per regione, distinti tra nativi e seconda generazione

Come evitare il doppio svantaggio
Possiamo qui tralasciare gli effetti dell’età assoluta e soffermarci su quelli dell’età relativa, che risultano preponderanti. In particolare, mostriamo che l’effetto dell’età relativa è penalizzante per tutti, ma ancora di più per i bambini con retroterra migratorio. A parità di età e condizioni sociali, in una classe il rendimento dei bambini di seconda generazione relativamente più giovani risulta inferiore del 3,3 per cento in italiano e del 3,4 per cento in matematica rispetto ai nativi, segnalando chiaramente il doppio svantaggio.
Un risultato aggiuntivo riguarda le differenze di genere. Le bambine, come atteso, tendono a ottenere risultati migliori in italiano e leggermente peggiori in matematica rispetto ai maschi. Ma anche loro non sono immuni dal doppio svantaggio: se sono figlie di immigrati e nate nella seconda metà dell’anno, subiscono penalizzazioni significative rispetto alle bambine native. Le politiche scolastiche dovrebbero dunque considerare anche queste intersezioni tra genere, età e origine familiare.
Una buona notizia arriva però da un gruppo specifico: i bambini che hanno frequentato il nido. Per loro, il doppio svantaggio si attenua fino a scomparire. È una conferma ulteriore di quanto sostenuto dal premio Nobel James Heckman: gli investimenti nei primissimi anni di vita sono i più efficaci. Ampliare l’accesso agli asili nido, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, è quindi una potente leva per favorire l’inclusione.
In particolare, l’analisi mostra che la frequenza del nido è fondamentale soprattutto per quanto riguarda la padronanza della lingua italiana. Il risultato rafforza l’idea che le politiche universali – come l’espansione dei servizi educativi per la prima infanzia – possano avere effetti importanti in termini di equità.
In definitiva, bilanciare meglio la composizione per età delle classi e offrire un supporto mirato ai più piccoli non è solo una misura di equità educativa, è anche una strategia di integrazione. Trascurare l’effetto combinato di più svantaggi rischia invece di alimentare diseguaglianze che si trascinano nel tempo.
Anche le famiglie possono giocare un ruolo importante. La tendenza ad anticipare l’iscrizione, molto diffusa soprattutto nel Mezzogiorno, nasce spesso da buone intenzioni, ma può avere effetti controproducenti: sarebbe forse necessaria una maggiore consapevolezza delle problematiche legate all’età relativa. Rinviare di un anno, quando possibile, potrebbe rivelarsi un investimento importante per il percorso scolastico.
In sintesi, il nostro studio conferma il ruolo cruciale della scuola nel contrastare le disuguaglianze e favorire l’inclusione. Ma perché ciò avvenga davvero, è necessario riconoscere che non tutti i bambini partono dallo stesso punto e che l’intersezione tra età, genere e origine familiare produce divari che richiedono risposte mirate. È una sfida per la scuola italiana, ma anche un’opportunità per costruire un’Italia più giusta, aperta e, finalmente, moderna.