Raccontare la Resistenza a scuola è sempre più complicato
da il post.it
C’entrano indicazioni ministeriali molto vaghe, la distanza temporale sempre più ampia con i partigiani e il clima politico attuale: ma non solo
Marco Meotto insegna a scuola da quasi vent’anni e dice che oggi non si può dare per scontato che i ragazzi e le ragazze sappiano cosa sia stata la Resistenza contro i nazisti e i fascisti negli anni finali della Seconda guerra mondiale. Venti o trent’anni fa era più comune che molti avessero ancora un legame diretto con la storia dei partigiani, aggiunge. «Molte volte adesso gli studenti non sanno cosa sia il 25 aprile e bisogna spiegarlo dall’inizio».
C’entra naturalmente la distanza temporale da quelle vicende, ormai superiore agli 80 anni. Ma secondo vari insegnanti e storici con cui ha parlato il Post le ragioni sono diverse e più complesse. Hanno a che fare per esempio con un profondo divario culturale tra chi è nato prima del Duemila e chi dopo, con la progressiva perdita di ricordi familiari legati alla Seconda guerra mondiale: banalmente, i nonni che erano vivi a quei tempi sono sempre di meno. Ma anche con uno scarso impegno di molti governi recenti per incentivare l’insegnamento della Resistenza.
È impossibile spiegare in modo sistematico come si racconta la Resistenza oggi nelle scuole: la situazione cambia da istituto a istituto, molto dipende dagli sforzi e dalla sensibilità dei singoli insegnanti, e l’interesse degli studenti è condizionato dalle loro storie personali e dai luoghi dove sono cresciuti. Ci sono però alcuni elementi comuni che ricorrono nelle riflessioni di chi se ne occupa ogni anno, e che danno un’idea di quanto oggi sia molto complicato provare a trasmettere la rilevanza di una vicenda enorme e che cambiò per sempre l’Italia, ma anche eterogenea e ormai distante.
Innanzitutto c’è da dire che la Resistenza e la Seconda guerra mondiale, se ci si arriva, si studiano tendenzialmente in terza media e in quinta superiore: quindi alla fine di ogni ciclo scolastico, quando il tempo stringe e le priorità spesso sono altre.

La manifestazione antifascista per la Liberazione a Milano, 25 aprile 2024 (REUTERS/Claudia Greco)
Fino a metà degli anni Sessanta della lotta partigiana in classe non si parlava proprio, perché era ritenuto un tema troppo divisivo e recente. Oggi la Resistenza è prevista nei programmi scolastici – anche se non si chiamano più così – ma in maniera molto vaga: in molti quindi si attivano per trovare modi creativi per sottolinearne l’importanza, al di là delle lezioni frontali in classe.
In alcune scuole si organizzano incontri con partigiani ancora in vita e studiosi della Resistenza, si visitano mostre, memoriali e luoghi della città dove sono accaduti gli eventi più significativi. Si guardano film e si leggono insieme romanzi che descrivono le esperienze dei partigiani: due ancora molto letti sono Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino e Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio.
Qualcuno va anche oltre: dal 25 aprile al 1° maggio dieci studenti delle scuole superiori della provincia di Pesaro e Urbino andranno in bicicletta insieme a vari accompagnatori da Marina di Massa (in Toscana) fino a Pesaro (nelle Marche), ripercorrendo la cosiddetta Linea Gotica, lungo cui correva il fronte di guerra italiano durante le ultime fasi della Seconda guerra mondiale. «I testimoni diretti della Resistenza non ci sono quasi più, ma i luoghi restano e aiutano a stare nella storia», dice Armando Bottazzo, insegnante in un istituto di Pesaro che parteciperà al progetto.

Due donne alle finestra festeggiano la Liberazione, Roma, 25 aprile 2020 (AP Photo/Andrew Medichini)
Per aiutare le scuole e gli insegnanti in questo sforzo, dato che qualsiasi attività che va oltre la didattica frontale richiede ore di preparazione, diverse associazioni partigiane e istituti storici della Resistenza negli anni hanno creato progetti educativi per gli studenti.
L’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” (Istoreto), per esempio, ha sviluppato dei giochi a tema e creato kit educativi con lezioni video, mostre virtuali e documenti d’archivio da usare in classe. Tra le varie cose l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) cura una piattaforma, ProMemoria, dove gli insegnanti trovano video, testi, documenti divisi in base al periodo in cui sono avvenuti.
ProMemoria è uno dei progetti avviati sulla base di un protocollo tra il ministero dell’Istruzione e le varie associazioni partigiane, rinnovato periodicamente, che impegna le parti a promuovere percorsi di formazione nelle scuole. Paolo Papotti, responsabile della formazione dell’ANPI, spiega che ogni anno le scuole vengono informate dei vari progetti proposti attraverso una circolare ministeriale e poi decidono liberamente se partecipare. «Cerchiamo di renderle adatte alle diverse età, scegliendo linguaggi e mezzi più innovativi. Ogni volta che incontriamo di persona gli studenti, specie quelli delle superiori, proviamo a stimolare le loro riflessioni legandole anche al presente per capire quello che succede oggi», dice.
Diversi insegnanti lamentano però che l’organizzazione di attività come queste è spesso poco incentivata dal ministero e si basa fondamentalmente sull’iniziativa dei singoli e delle scuole.
Meotto per esempio è uno che si dà molto da fare. Insegna storia in un istituto superiore di Torino e spesso porta i suoi studenti nei luoghi legati alla Resistenza in città, dove racconta loro le storie dietro i nomi delle vie dedicate ai partigiani e alla Seconda guerra mondiale. L’impegno è parecchio, dice, ma se ne fa carico volentieri. Al di là delle questioni organizzative però, come molti altri insegnanti è convinto che vadano trovati modi diversi per spiegare cosa fu lo sforzo collettivo per liberarsi di nazisti e fascisti.
Meotto ritiene che questi modi debbano essere il più possibile privi di retorica e riuscire a raccontare una lotta che fu anche «una guerra civile drammatica, sanguinosa, e che divise intere famiglie». Secondo lui è molto efficace iniziare il discorso da qualcosa che riguarda gli studenti da vicino: per esempio parlando a studenti e studentesse non bianche, Meotto dice che è importante riconoscere e mettere in discussione il passato coloniale dell’Italia in Africa, continente originario di alcuni di loro, «per far capire la complessità della nostra storia e vedere nella Resistenza anche un fenomeno di rifiuto di quello che è stato il fascismo in tutte le sue sfaccettature».
Stefano Bernardinello insegna storia in una scuola media di Milano e condivide molte osservazioni di Meotto. Per Bernardinello «non è vero che ai ragazzi non importa niente» della Liberazione e di capire il fascismo. Semplicemente, dice, molti «non hanno più i codici di accesso a questa parte di storia: se sentono un partigiano dire che oggi è importante superare l’elemento di “lotta di classe” che ebbe la Resistenza, non sanno di cosa parla e gli sembra qualcosa che non abbia niente a che fare con il mondo di oggi».
Ai suoi studenti di terza media Bernardinello ha fatto leggere le lettere che si scambiavano Giorgio Paglia e Maria Lucia Vandone, entrambi nella Resistenza (lui venne fucilato dai fascisti nel 1944). Ha poi parlato in classe del ruolo delle donne nella Resistenza e nell’Assemblea costituente, invitando i ragazzi a riflettere su possibili punti di contatto con la società di oggi. «Se parti da una cosa che è anche loro, come le storie d’amore, poi è più facile allargare il discorso», dice.
La pensa così anche Chiara Colombini, che non si occupa specificamente di didattica della storia ma ha incontrato più volte gli studenti come responsabile scientifica dell’Istoreto, nonché esperta di divulgazione della Resistenza. Nella sua esperienza, racconta, ha percepito dagli adolescenti una «distanza siderale» quando iniziava a parlare loro delle appartenenze politiche delle formazioni partigiane, perché stava parlando di qualcosa che non esisteva più: partiti e ideologie ormai remotissime, per chi è nato dopo il Duemila. Dice però di essere riuscita a trattare anche gli aspetti più politici della Resistenza semplicemente cambiando la prospettiva.

I ragazzi delle scuole superiori alla cerimonia in ricordo dei partigiani morti durante la Seconda guerra mondiale e di quelli sterminati nei campi nazisti, al Campo della Gloria del Cimitero Maggiore di Milano, 31 ottobre 2018 (Matteo Corner/LaPresse)
Le carte partigiane, dice Colombini, rivelano «un’esperienza incandescente, drammatica ma anche entusiasmante e soddisfacente», e pertanto anche i sentimenti più vari (su cui Colombini ha scritto un libro): amore, odio, paura, coraggio, desiderio di vendetta, pietà. Scoprire dalle carte chi erano i partigiani – «esseri umani che hanno compiuto eventi strabilianti, ma che hanno avuto anche i loro limiti e le loro meschinità» – è quindi per Colombini un buon punto di partenza che permette ai ragazzi e alle ragazze di immedesimarsi nei partigiani e nelle partigiane e interessarsi alla Resistenza nel suo complesso.
Riuscire a parlare agli adolescenti richiede una capacità di comunicare per niente scontata, che è anzi diventata molto più difficile negli ultimi venti, trent’anni, a detta di chi se ne occupa. È la ragione per cui secondo alcuni insegnanti certe testimonianze dei partigiani, che ormai sono pochissimi, a volte non riescono a essere efficaci: il divario di età e modo di esprimersi a volte è troppo ampio.
Trovare un equilibrio fra tutti questi aspetti – spiegare il particolare ma non tralasciare il contesto storico, attirare l’attenzione senza spettacolarizzare, dare la voce a chi ha partecipato alla Resistenza ma solo se è efficace – non è semplice. Oggi, poi, esiste un’ulteriore complicazione rispetto a pochi decenni fa: il ruolo di internet.
I social network sono pieni di contenuti, rivolti soprattutto ai maschi molto giovani, pieni di video o racconti fuorvianti sulla Seconda guerra mondiale e tendenzialmente benevoli con l’estrema destra. Meotto e Bernardinello per esempio raccontano di avere avuto qualche studente attirato dal fascismo perché probabilmente gli appariva come un movimento di rottura rispetto a una società in cui sembra che le cose non funzionino e non cambino mai.
Lo storico Giovanni De Luna, uno dei principali studiosi di Novecento italiano nonché autore di un apprezzato manuale scolastico, dice che oggi online i ragazzi trovano soprattutto «una vulgata che è prevalentemente quella di Mussolini-che-ha-fatto-anche-cose-buone». Secondo De Luna questa versione condiscendente verso il fascismo si deve a un dibattito pubblico attuale molto spostato a destra.

Un uomo anziano alla cerimonia istituzionale presso il cimitero monumentale di Torino, Italia, 25 aprile 2024 (Matteo Secci/LaPresse)
Per De Luna i responsabili di questa deriva non sono soltanto i social network, la scuola o il dibattito di oggi, ma anche la ricerca accademica: De Luna sostiene che la maggior parte degli storici viventi non sia in grado di raccontare in modo divulgativo e appassionante le cose che conoscono meglio di altri ai non addetti ai lavori, con pochissime eccezioni come Alessandro Barbero. Il risultato, secondo De Luna, è che non c’è un argine istituzionale abbastanza solido a discorsi sul fascismo e sulla Resistenza pieni di luoghi comuni, fuorvianti o falsi del tutto. Il fatto che questi discorsi finiscano in televisione o online fa sì che vengano assorbiti anche dalle persone più giovani, quasi senza accorgersene.
De Luna insiste inoltre sul fatto che la Resistenza debba essere raccontata ai ragazzi evitando sia il nozionismo sia la versione «celebrativa e monumentale» dei fatti e dei suoi protagonisti. «La Resistenza è una grande riappropriazione della propria sovranità individuale: è un atto di disobbedienza dopo vent’anni di conformismo e obbedienza, disciplina, gerarchia. Questa scelta va raccontata», dice.
Nessuna delle persone con cui ha parlato il Post ha in mente una soluzione facile. Tutte si interrogano, e provano a sperimentare, convinte che i tentativi siano comunque importanti per rendere ragazzi e ragazze consapevoli di cosa ha significato vivere sotto il regime fascista e l’occupazione nazista, e decidere di combatterli per ottenere un paese libero e democratico.
Una delle strade possibili, ma non l’unica, è quella di iniziare prima a parlare di Resistenza. La sta sperimentando Francesca Parmigiani, avvocata e autrice, tra gli altri, di un libro illustrato che si intitola La Resistenza spiegata ai bambini.
Nel libro Parmigiani racconta la dittatura e i partigiani attraverso le biografie di alcuni di loro, e di padri e madri costituenti come Piero Calamandrei e Nilde Iotti (che nella storia sono rappresentati come dei bambini). L’intento di Parmigiani è provare a trasmettere innanzitutto il significato della loro scelta individuale, dice, che allora fu di «disobbedienza di fronte a leggi ingiuste», e che oggi si può trasmettere spiegando che allora come oggi bisogna scegliere «da che parte stare».