Permessi retribuiti a scuola: 3 + 6
di , Orizzonte Scuola
Sono un diritto contrattuale conquistato, fondato sulla contropartita e garantito dall’autocertificazione.
L’istituto di questi permessi nasce con l’art. 21 del CCNL Scuola del 4 agosto 1995, confermato dal CCNL 2003, integrato nel CCNL 2006/2009 e, ancora, ribadito dai successivi contratti 2016/2018 e 2019/2021 (quest’ultimo con alcune novità per i docenti supplenti).
Approfondiamo la sequenza dell’iter contrattuale:
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art. 21 CCNL Scuola 4 agosto 1995
comma 2. A domanda del dipendente sono, inoltre, concessi nell’anno scolastico tre giorni di permesso retribuito per particolari motivi personali o familiari debitamente documentati; per gli stessi motivi sono fruibili i sei giorni di ferie durante le attività didattiche di cui al precedente art. 19, comma 9, indipendentemente dalla presenza delle condizioni previste in tale norma;
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art. 15 CCNL Scuola 4 luglio 2003
comma 2. A domanda del dipendente, inoltre, sono attribuiti nell’anno scolastico tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, vengono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma; -
art. 15 CCNL Scuola 29 novembre 2007
comma 2. A domanda del dipendente, inoltre, sono attribuiti nell’anno scolastico tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, vengono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma; -
il CCNL 2016-2018 mantiene in vigore l’art. 15 comma 2 succitato, quindi la regola dei 3 giorni + 6 giorni di ferie convertibili in permessi retribuiti resta valida;
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con il CCNL 2019-2021 viene confermato che, per personale di ruolo, la disciplina precedente resta valida:
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una novità del CCNL 2019-2021 riguarda i supplenti annuali con contratto al 31 agosto o al 30 giugno: anche loro hanno ora diritto a 3 giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari (art. 35, comma 12). Tuttavia, per i supplenti non è previsto automaticamente il riconoscimento della conversione delle ferie in ulteriori 6 giorni di permesso, come avviene per i docenti di ruolo: l’estensione riguarda esclusivamente i 3 giorni di permesso retribuito.
Per oltre vent’anni, dalla nascita dell’istituto dei permessi retribuiti (1995) fino al 2019, l’interpretazione costante, unanime e mai contestata è stata questa:
i 6 giorni di ferie durante le attività didattiche sono pienamente fruibili come “permessi retribuiti” per motivi personali o familiari. Quindi 3 giorni + 6 giorni = 9 giorni retribuiti, come diritto pieno.
La “documentazione” era intesa come semplice motivazione, anche con autocertificazione.
Anche l’ARAN ha sempre confermato che i 6 giorni di ferie, se richiesti per motivi personali o familiari durante le attività didattiche, assumono la natura di permessi retribuiti e non sono soggetti a valutazione discrezionale del dirigente scolastico.
A titolo di esempio, nella nota ARAN (disponibile QUI), l’Agenzia precisa che il personale docente ha diritto a 32 giorni di ferie per ciascun anno scolastico, da fruire nei periodi di sospensione delle attività didattiche.
Durante la restante parte dell’anno, è comunque possibile richiedere fino a un massimo di 6 giornate di ferie per motivi personali o familiari, le quali, pur essendo formalmente ferie, sono considerate a tutti gli effetti permessi retribuiti, con piena tutela del diritto del docente.
Si richiama anche il Parere ARAN n. 2698 del 2 febbraio 2011 (disponibile QUI), rilasciato in risposta ad un quesito dell’USR Puglia, che ribadisce integralmente quanto previsto dall’art. 15, comma 2, del CCNL 2006/2009.
L’ARAN conferma che il secondo periodo del comma 2 consente al personale docente di fruire dei 6 giorni di ferie durante l’attività didattica con le medesime modalità (richiesta del dipendente) e allo stesso titolo (motivi personali o familiari) previsti per i tre giorni di permesso retribuito.
Tale fruizione — precisa il parere — avviene indipendentemente dalle condizioni poste dall’art. 13, comma 9, sulle ferie, poiché i 6 giorni, una volta richiesti per motivi personali o familiari, assumono la natura giuridica di permessi retribuiti.
Ne consegue che non è previsto alcun margine di discrezionalità da parte del dirigente scolastico: il DS non può valutare né sindacare il motivo addotto dal docente, né subordinare la concessione del permesso a criteri ulteriori rispetto alla norma contrattuale.
In data 04/04/2019 l’ARAN con nota n. 2664 (non reperibile sul web) entra a gamba tesa a sconvolgere un principio ormai consolidato e ad offrire a molti dirigenti scolastici un comodo alibi per restringere un diritto riconosciuto e accettato da oltre vent’anni.
Interpretando, infatti, quei giorni come “ferie ordinarie” e non più come un istituto distinto e tutelato che il contratto qualifica come permessi retribuiti, la nota ha aperto la strada a prassi restrittive e arbitrarie che negano ai docenti un diritto contrattuale pieno e non sottoposto a valutazioni discrezionali del dirigente.
In questo modo, quella nota è diventata per molti dirigenti scolastici uno strumento per ridurre spazi di agibilità professionale e per reinterpretare in senso limitativo un istituto che tutti i contratti della scuola dal 1995 in poi avevano sempre garantito con chiarezza.
I sindacati (SNALS-Confsal, FLCGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA e Gilda Unams) manifestarono un totale dissenso di merito e di metodo alla nota dell’ARAN che aveva dato una errata interpretazione su quanto disposto dalla legge 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), con una lettera del 19 aprile 2019, sostenendo che:
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la legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 54, L. 228/2012) ha modificato la disciplina delle ferie ma non ha toccato l’art. 15, comma 2 del CCNL che disciplina i permessi retribuiti;
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i 6 giorni di ferie fruibili durante le attività didattiche restano utilizzabili come permessi retribuiti, come previsto dall’ultimo periodo dell’art. 15, comma 2;
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la Nota ARAN ha interpretato in modo restrittivo la disciplina, limitando i permessi a soli 3 giorni, in contrasto con la normativa contrattuale vigente;
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il metodo con cui ARAN ha fornito l’interpretazione senza confronto con le OO.SS. firmatarie del CCNL è stato un atto unilaterale.
QUI la lettera dei Sindacati.
Sulla lettera unitaria delle Organizzazioni sindacali non risulta pubblicamente disponibile un riscontro formale dell’ARAN che abbia:
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ritirato o modificato la nota 2664/2019,
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revocato l’interpretazione restrittiva dei permessi,
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prodotto una replica condivisa con le OO.SS.
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intanto quella nota è irreperibile sul web
Di fatto, la questione interpretativa è rimasta aperta fino all’intervento della giurisprudenza.
Ogni volta che i dirigenti scolastici tentavano di negare i permessi, i docenti erano costretti a far valere i propri diritti davanti ai tribunali. Le numerose sentenze emesse a loro favore hanno dimostrato chiaramente che i permessi retribuiti sono un diritto consolidato e non una concessione discrezionale, smascherando così ogni tentativo di limitare la libertà contrattuale del personale scolastico.
Una delle più recenti sentenze è quella della Corte d’Appello di Caltanissetta n. 286/2023
In precedenza:
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la sentenza del Tribunale di Taranto del 22 maggio 2022;
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la sentenza n. 53 del 26 maggio 2020 del Tribunale di Fermo;
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la sentenza n. 15 del 28 gennaio 2020 del Tribunale di Cuneo;
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la sentenza n. 2272 dell’ottobre 2019 del Tribunale di Milano;
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la sentenza n. 54 del 2 aprile 2019 del Tribunale di Ferrara;
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la sentenza n. 378 del 5 marzo 2019 del Tribunale di Velletri.
Tutti i tribunali hanno sentenziato che i 6 giorni di ferie possono essere commutati come permessi retribuiti per motivi familiari o personali e quindi fruiti al pari dei 3 giorni del primo periodo dell’art. 15, comma 2 del CCNL scuola 2006/2009.
Anche il SIDI (Sistema Informativo del Ministero dell’Istruzione) riconosce ufficialmente, tramite il codice PE03 “PERMESSO PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI”, la possibilità per i docenti di ruolo di utilizzare sei giorni di ferie come permessi retribuiti, confermando così l’orientamento giurisprudenziale.
C’è un motivo in più che rende i 3+6 giorni di permesso retribuito una conquista essenziale per i docenti, un diritto da difendere con fermezza e da esercitare senza compromessi:
il Principio di contropartita nella contrattazione
Nella contrattazione collettiva, soprattutto nel settore pubblico, dove le risorse economiche sono predeterminate dalla legge finanziaria, vige il principio che i benefici contrattuali, siano essi normativi o economici, attingono allo stesso monte delle risorse finanziarie stanziate per il rinnovo.
Per ottenere un beneficio contrattuale normativo (come i permessi retribuiti), i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali devono implicitamente o esplicitamente rinunciare a una parte del potenziale beneficio contrattuale economico (come ad esempio un aumento di stipendio o la concessione di un salario accessorio).
Questo accade perché:
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Lo stanziamento complessivo per il rinnovo contrattuale è una cifra fissa definita a monte dal Governo (parte datoriale);
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ogni norma che introduce un costo per l’Amministrazione (come un giorno di permesso retribuito, un’indennità, o una riduzione dell’orario di lavoro) ha un valore economico che deve essere coperto da quelle risorse stanziate.
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se una parte delle risorse viene destinata a finanziare il costo di nuovi benefici normativi, quella stessa parte non è più disponibile per finanziare aumenti diretti di stipendio o altri benefici economici.
Quindi, quando i docenti hanno ottenuto il beneficio dell’art. 15, comma 2, che ha reso i 3+6 giorni di permesso per motivi personali un diritto non soggetto a discrezionalità, hanno di fatto utilizzato una quota del budget contrattuale complessivo.
Se non fosse stato destinato a quella norma, quel valore economico sarebbe stato riversato in aumenti stipendiali tabellari.
In sintesi, i due tipi di benefici sono in un rapporto di alternativa potenziale: più risorse vanno alla norma, meno ne vanno allo stipendio, e viceversa, nell’ambito di un budget predefinito.
In conclusione, il 3+6 rappresenta una vera conquista normativa ottenuta in una stagione contrattuale caratterizzata da incrementi economici modesti. Possiamo quindi affermare che, mentre sul versante salariale i sindacati dovettero accettare aumenti contenuti, riuscirono però a garantire ai docenti un diritto forte, concreto e tuttora fondamentale. Per questo i permessi retribuiti costituiscono a pieno titolo un diritto “conquistato” e “acquistato” dalla categoria.
Un ultimo aspetto fondamentale nella fruizione dei permessi retribuiti riguarda l’autocertificazione
La normativa vigente è molto chiara: il docente ha diritto a richiedere i giorni di permesso indicando un motivo personale o familiare, senza ulteriori limitazioni.
Il motivo deve essere dichiarato, ma non deve essere documentato oltre l’autocertificazione.
Va osservato che nei contratti successivi a quello del 1995 l’avverbio “debitamente” è scomparso dall’espressione “documentati”.
È importante ricordare che:
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La norma non definisce né restringe quali debbano essere i “motivi personali”: ciò significa che rientrano nel diritto tutte le esigenze soggettive del docente.
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Il dirigente scolastico non può valutare, giudicare o sindacare la natura del motivo dichiarato, né richiedere prove aggiuntive.
A titolo esemplificativo – e non esaustivo – sono da considerarsi motivi pienamente legittimi:
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visite mediche o accertamenti sanitari;
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accompagnamento o assistenza a un familiare;
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adempimenti o pratiche burocratiche non rinviabili;
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interventi urgenti di natura edilizia presso la propria abitazione;
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visite veterinarie per il proprio animale d’affezione;
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esigenze personali di carattere strettamente soggettivo, come ad esempio:
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necessità di recuperare le energie psicofisiche dopo un periodo particolarmente intenso a scuola;
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dedicare tempo alla cura personale o al proprio benessere (visita estetica, fisioterapia non sanitaria, attività di relax);
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partecipazione a un’attività culturale o personale che si ritiene importante (presentazione di un libro, seminario, evento culturale);
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Per quanto riguarda gli esempi succitati relativi alle esigenze personali di carattere strettamente soggettivo, potrebbero essere erroneamente considerati motivazioni futili. Su tale presupposto, il Dirigente scolastico potrebbe negare la concessione del permesso, richiamando un parere dell’Aran secondo cui “la valutazione circa l’adeguatezza o meno della documentazione presentata è rinviata al Dirigente scolastico“.
In analogo senso viene anche richiamata una ordinanza della Corte di Cassazione 12991 del 13 maggio 2024 che ha rigettato il ricorso di un docente avverso il diniego del permesso, ritenendo eccessivamente generica l’autocertificazione recante la motivazione “dover accompagnare la moglie fuori Milano”.
Il nodo giuridico non è la “valutazione del motivo”, ma la “verifica formale della documentazione”.
Il parere ARAN non può essere interpretato nel senso di attribuire al Dirigente scolastico un potere discrezionale sul merito del motivo personale o familiare.
La “valutazione di adeguatezza” richiamata dall’ARAN riguarda esclusivamente:
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la sussistenza formale dell’autocertificazione;
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la riconducibilità del motivo dichiarato alla sfera personale o familiare;
Non riguarda, invece:
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il giudizio di opportunità, utilità o “serietà” del motivo;
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una valutazione morale o soggettiva delle scelte personali del lavoratore;
Per quanto riguarda l’ordinanza della Cassazione n. 12991/2024, la Cassazione non afferma che il Dirigente possa valutare il “valore” del motivo, ma solo che l’autocertificazione non sia meramente assertiva.
L’ordinanza non nega la legittimità di motivi personali ampi, ma censura la genericità assoluta della motivazione addotta.
Nel caso esaminato: “dover accompagnare la moglie fuori Milano”
non risultava:
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né il collegamento temporale con la giornata richiesta;
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né la ragione concreta dell’accompagnamento;
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né la riconducibilità immediata a una esigenza personale o familiare specifica.
La Cassazione, pertanto, non stabilisce alcun principio secondo cui i motivi personali debbano essere “gravi”, “eccezionali” o “oggettivamente rilevanti”, ma afferma esclusivamente che l’autocertificazione posta a fondamento della richiesta di permesso deve contenere una descrizione sufficientemente specifica del motivo addotto, tale da consentirne la riconducibilità alla sfera personale o familiare tutelata dal CCNL, senza risolversi in una mera formula generica o tautologica.
Confondere la verifica formale dell’autocertificazione con un giudizio sul valore del motivo addotto significa snaturare il diritto contrattuale dei permessi retribuiti, subordinandolo a valutazioni soggettive estranee al CCNL e in contrasto con i principi costituzionali di libertà personale e di autodeterminazione.
Cosa fare in caso di diniego da parte del dirigente scolastico
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Richiedere risposta scritta motivata.
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Rivolgersi immediatamente alla segreteria del proprio sindacato per valutare ricorso o diffida.

