Muti alla mèta – Il silenzio (poco innocente) dei maturandi.
di il Gessetto
Ci risiamo. Ancora una, due, tre, cinque scene mute di maturandi all’orale di maturità. Questo silenzio però ha tutta l’aria di una scelta che nasconde – dietro bei proclami resi alla stampa – alcune motivazioni reali indicibili: opportunismo, rivalsa, presunzione, esibizionismo/protagonismo mediatico. Motivazioni su cui vale la pena, secondo me, riflettere.
Quando ti morde un lupo, pazienza. Quel che secca è quando ti morde una pecora (Leo Longanesi)
Ci risiamo. Ancora una, due, tre, cinque scene mute di maturandi all’orale di maturità. La premessa di un sicuro contagio. E ancora: un clamoreimmediato, spropositato sui media intorno a quei silenzi. Mi si obietterà: se anche tu ne scrivi alimenti quel clamore. Vero. Ma lo faccio perché mi interessa rimarcare aspetti importanti che trascendono queste piccole vicende. Le parole sono ambigue, si sa, ma il silenzio lo è molto di più. Anzi spesso è equivoco, polisemico, aperto alle più varie interpretazioni, proprio perché è un vuoto, un vano, una mancanza che ognuno, a partire da chi ha scelto di ricorrervi, può riempire all’occorrenza del significato che vuole. Grandi artisti hanno sfruttato al meglio il silenzio per esprimere o suggerire un’intensità di sentimento e una profondità o complessità di senso cui le parole non sarebbero bastate: il silenzio di Aiace di fronte a Ulisse, quello di Didone di fronte a Enea, quello di Paolo accanto a Francesca nel celebre canto dantesco.
Ma qui, ripeto, se anche l’espediente comunicativo è simile, ci muoviamo su piani davvero poco sublimi. Questo silenzio volontario dei maturandi mi rammenta piuttosto quello di un personaggio secondario del Nome della rosa, un monaco aiutante bibliotecario di cui si dice che i lunghi e abituali silenzi, che parevano a molti un segno di meditabonda saggezza, nascondevano in realtà debolezza d’animo e di ingegno.
Questo silenzio dei maturandi ha infatti tutta l’aria di una scelta che nasconde – dietro bei proclami resi alla stampa – almeno tre o quattro motivazioni reali indicibili: opportunismo, rivalsa, presunzione, esibizionismo/protagonismo mediatico. Motivazioni su cui vale la pena, secondo me, riflettere.
Opportunismo, anzitutto, pigro e calcolatore, di chi ha raggiunto la promozione numerica con gli scritti e non ha voglia di ammattirsi a studiare per raggiungere un voto che, anche nel migliore dei casi, non sarà (o non verrà considerato) brillantissimo. E allora cosa c’è di meglio che recitare davanti a un microfono la parte di eroe ribelle a un sistema: “Io non ho risposto all’orale perché contesto il sistema-scuola con la sua disumana impostazione iper-competitiva, con la sua meritocrazia spietata e burocratica che mi giudica con dei numeri e mi considera un numero”. La parola magica è sistema, magica da tempo, dai miei tempi, dagli anni Sessanta e Settanta, quando però il sistema che si diceva più e meno velleitariamente di voler combattere aveva almeno una sua precisa fisionomia: quella delle vecchie, autoritarie e ormai ingessate istituzioni vetero-borghesi, scuola compresa. Ma adesso il sistema che gli eroi della maturità dicono di soffrire e di contestare tanto qual è? Il ministero dell’istruzione? Me ne meraviglierei, visto che da decenni ministri di vario colore non hanno fatto altro che facilitare sempre più la vita degli studenti varando norme, riforme e riformine populistiche per deresponsabilizzarli e garantire sempre più a tutti il cosiddetto “successo formativo”.
Il sistema da rifiutare sarà allora quello dell’esame? A stare alle dichiarazioni pubbliche di un’altra maturanda, sembrerebbe così: “Dopo un quinquennio di splendidi voti alla maturità siamo stati/e giudicati/e sulla sola base delle prove senza tenere conto del nostro brillante curricolo. Perciò ci siamo rifiutati/e di rispondere all’orale. Per protesta, perché noi sappiamo di valere molto di più di come siamo stati/e giudicati/e»
Ma come fanno questi ragazzi a sapere di valere molto di più? Chi ha riconosciuto prima dell’esame con la dovuta competenza questo loro presunto, inestimabile valore? I loro prof, immagino, tre dei quali però – si badi bene – hanno fatto parte anche della commissione che li ha giudicati alla maturità. Che gli altri tre commissari esterni si siano dimostrati degli alieni, ovvero dei mostri di incompetenza e di sadismo valutativo tali da stravolgere in negativo il giudizio, è, sulla base della mia passata e ventennale esperienza con questo tipo di esame, del tutto improbabile, in pratica quasi impossibile. Anche perché tra commissari esterni e interni si trova quasi sempre una bilancia, un do ut des, un ragionevole modus convivendi che garantisce quasi sempre la continuità, la equanimità e (aggiungerei) la benevolenza del giudizio in sede di esame. E allora? Il nemico sarà la formula dell’esame in sé, macchinosa, tecnicistica, algidamente numerica? Beh, certamente non è il massimo e va ripensata, visto che permette a chi si presenta all’orale con 60 punti acquisiti (sommando gli scritti al credito adesso preponderante – e di norma molto generoso – dei cinque anni) il lusso di essere promossi facendo scena muta. Come se il momento dialettico, il confronto ‘parlato’ e ragionato viso a viso con la commissione fossero ininfluenti per valutare la maturità complessiva di un ragazzo… Ma si tratta anche qui di difetti concettuali del meccanismo che per il resto e in gran parte, guarda caso, favoriscono e non penalizzano affatto il candidato. Altro che sistema e pratica valutativi alienanti e disumani!
Quale che sia la motivazione che questi ragazzi dichiarano pubblicamente, sempre e comunque la infondata e reprensibile (ir)responsabilità del proprio gesto viene in buona sostanza da loro rovesciata sulla istituzione scolastica e sui prof, cui essi imputano spesso gratuitamente inadeguatezza e incompetenza. Le parti, insomma, si scambiano. Gli esaminati si atteggiano a esaminatori. Anzi: ad accusatori che si permettono di sindacare il giudizio dei prof screditandoli professionalmente e umanamente ed esigendo che siano piuttosto loro, gli insegnanti, ad essere giudicati e a render conto per le loro vere o presunte e gravi manchevolezze sul piano didattico, valutativo, relazionale ecc. Un modo – se permettete – un po’ strano di rapportarsi con la scuola: io, studente, presentandomi all’esame, accetto, anzi chiedo di essere giudicato da te, insegnante, perché evidentemente riconosco che hai titolo istituzionale per farlo; ma se poi tu non mi gratifichi con i giudizi positivi che mi aspetto, allora non riconosco più il tuo ruolo e il tuo giudizio – cioè pretendo di giudicarmi da solo. Un modo di fare la rivoluzione piuttosto comodo, contraddittorio, velleitario, presuntuoso, eversivo persino, comunque immaturo. Ecco che arriviamo al punto: alla immaturità sostanziale di un gesto che reclama il riconoscimento formale della maturità di chi lo compie.
Tanto più che in tutti questi casi il desiderio di farsi pubblicità appare una motivazione concomitante tutt’altro che secondaria e ininfluente. Anzi: sospetto che spesso sia stata decisiva nel suggerire la scelta. Mi spiego: se io mi accontento di un sessanta e rinuncio, boicottando l’esame orale, a ottenere un settantacinque o un ottanta (su cento) ciò significa che quei possibili punteggi, in sé più che discreti, io (studente) li ritengo, oltre che insoddisfacenti, per me insignificanti al punto da poterli sacrificare volentieri a un quarto d’ora di notorietà sulla stampa e sul web e a qualche like in più sui miei profili social. Significa, cioè, che la decorosa conclusione della mia esperienza scolastica conta per me molto meno della mia presunta immagine ‘pubblica’ e mediatica. Non mi sorprendo affatto di ciò, ma mi deprime molto pensare che oggigiorno la scuola sia tenuta da chi la frequenta in una considerazione così bassa, così secondaria o addirittura ancillare. L’anno scorso una maturanda pioniera della strategia del silenzio dichiarò, tra molte altre cose, quanto segue: « Mi ero immaginata la maturità come la celebrazione [sic!] del percorso fatto fino ad oggi, invece sono sempre più convinta che sia l’apogeo delle ingiustizie subite da noi studenti.». Questa frase, al di là delle intenzioni di chi l’ha pronunciata, significa molto altro. Rivela anzitutto che parecchi studenti avvertono oggi l’esame come una gratificante passerella finale, un pro-forma che, sul piano della valutazione, deve quantomeno limitarsi a sancire la valutazione del quinquennio. Un salto con tutte le reti e un lancio con tutti i paracadute. Esula ormai da questa concezione qualsiasi idea che l’esamepossa invece essere una prova con la sua percentuale ineludibile di fatica, di azzardo, di imprevisto, di sfortuna: componenti dell’esame come della vita, senza di cui una prova di maturità risulta ipso facto finta, addomesticata, niente più che una festa (o una farsa) di fine corso. Il termine celebrazione in particolare rivela una concezione dell’esame come evento-spettacolo, con una evidente confusione – oggigiorno diffusa, anche nella scuola e non solo tra gli studenti – tra la realtà e l’immagine, tra la vita e la sua sempre edificante e ingannevole rappresentazione mediatica. Quando per caso la scuola e il suo esame si allontanano troppo dalla fiction di quella rappresentazione allora nasce, anzi esplode, subito il problema, la ‘tragedia’, l’indignazione, la protesta eroicomica contro un fantomatico, inesistente “sistema” iniquo e avverso.
In realtà, il sistema avverso in cui molti nostri giovani (e non solo loro) oggi vivono sprofondati, al punto da patirne indifesi il plagio e il maleficio senza minimamente accorgersene, è proprio l’universo parallelo e illusionistico di quella fiction. Da esso soprattutto i nostri giovani si dovrebbero difendere e la scuola dovrebbe essere la prima ad abituarli a farlo. L’altro sistema che i maturandi del silenzio evocano, è invece solo un pallido fantasma di altre epoche, un vecchio slogan polemico sbiadito, consunto, anacronistico, o più semplicemente un pretesto, un paravento bello e buono per nascondere il problema. Se vari gatti e volpi della stampa, della politica e della dirigenza scolastica evocano da par loro questo fantasma con tanto clamore questo accade per vari secondi fini che nulla hanno a che fare con i veri problemi della scuola.