La dura vita dei coordinatori di classe
di Andrea Ceriani, La Tecnica della scuola
Bisognerebbe, almeno, avere frequentato un corso di diplomazia, aver ottenuto un ‘master’ nelle tecniche di comunicazione e ancora aver studiato psicologia e letto validi e approfonditi testi relativi alla gestione dell’ansia, perché i Coordinatori di classe, già stremati da mille e uno incarichi burocratici che sono stati costretti a svolgere durante il logorante anno scolastico (in aggiunta al loro lavoro di educatori), potessero, con animo sereno e mente limpida, adempiere al loro ultimo e non facile ‘dovere’ burocratico: comunicare alle famiglie degli alunni bocciati (non ammessi) o rinviati a settembre (o a fine agosto) la triste notizia.
Ormai, da vari anni, i docenti (coordinatori) si trovano costretti (per legge o consuetudine) a farsi coraggio e a dover ‘sobbarcarsi’ anche questo poco gradito ufficio e tale delicata responsabilità.
Come non rimpiangere i lieti anni passati, quando gli studenti (a volte accompagnati dai genitori) venivano a conoscenza della loro sorte, gradevole o sgradita, guardando semplicemente i ‘quadri’ esposti in bacheca (magari, per riservatezza, con le insufficienze ‘oscurate’ o ‘sfumate’) e, al massimo, ricevevano notizie più dettagliate sui loro ‘gravi’ giudizi dalla segreteria della scuola (in alcuni casi perfino dal Preside).
Ora non è più così. I Presidi, in quei momenti, sembrano sempre impegnati in questioni più importanti e le segreterie non ritengono di loro competenza convocare e comunicare ai genitori degli alunni non ammessi o rimandati notizie così ‘catastrofiche’. Spetta dunque al Coordinatore (anche contro il suo volere), armatosi di coraggio, affrontare i genitori (a volte supportato dai colleghi).
Ci domandiamo però se ha senso e se sia obbligatorio questo rito finale (utile?). La normativa impone che la scuola debba ‘dimostrare’ di aver informato (pensiamo anche telefonicamente) i genitori sull’esito finale dell’anno scolastico. In fondo il ‘suggerimento’ non è sbagliato, se lo si interpreta come un atto di cortesia.
Perché sappiamo perfettamente (è prassi e norma) che, durante tutto l’anno scolastico (anche nei momenti finali in cui qualcosa o tutto si poteva ancora recuperare), il Consiglio di classe, nella figura del Coordinatore e del verbalizzatore, mette più volte al corrente i genitori (dialogando con loro ‘vis à vis’ o tramite cellulare o computer) della situazione scolastica dei figli, soprattutto quando questa risulta essere assai ‘pericolante’.
Sicché eventuali bocciature o rimandature o (evento rarissimo) non ammissioni all’esame di Stato, non rappresentano mai (o mai del tutto) una sorpresa completamente inaspettata per padre e madre (anche se non di rado sembra essere questa la loro reazione. Fingeranno?).
Del resto, ora, con il famigerato registro elettronico, la famiglia è sempre al corrente di tutto (anche troppo).
Un atto di cortesia, dunque, che potrebbe anche essere evitato. Una cortesia, però, non priva d’ansia, turbamento e di una certa preoccupazione per il Coordinatore (e gli eventuali colleghi che lo sostengono).
Come mai questo? Sia ben chiaro. Di una bocciatura, rimandatura o non ammissione all’esame tutti hanno un grado di responsabilità, tutti sono, in modo diverso, ‘colpevoli’: docenti, genitori e alunni (e docenti e genitori devono, nella consapevolezza dei loro ruoli ben distinti – oserei dire anche gerarchicamente – operare insieme, sinergicamente, per il bene dei giovani).
Risulta quindi ovvio che, per un docente, comunicare una ‘bocciatura’ del figlio ai genitori non sia qualcosa di cui andar fieri, anche se la non ammissione, decisa dal Consiglio di classe, risulta ineccepibile. Ma sia altrettanto ben evidente e incontrovertibile che la responsabilità prima e maggiore della ‘sconfitta’ risiede (al 99%) negli alunni.
Se si mette in discussione questo si rischia di danneggiare la scuola e la sua insostituibile ‘missione’ (questo, però, non significa che la scuola, quando è necessario, non debba essere messa in discussione!).
Il problema, ovviamente senza generalizzare, è che ultimamente (e non solo) vi è, in molti genitori, la convinzione che i loro figli siano belli, bravi e buoni e, quindi, un qualunque risultato negativo sia addebitabile ai docenti.
Da questa sbagliata convinzione (e illusione), i dialoghi nel corso dell’anno tra docenti e alcuni genitori risultano spesso intorpiditi da deleteria tensione e, se si arriva alla ‘caduta’ finale dell’alunno (‘caduta’ per la maggior parte dei casi ‘sacrosanta’), tale tensione, in occasione dell’annuncio ‘funesto’, può sfociare o esplodere in contrasti assai accesi (una guerra verbale, e non solo) ma, per forza di cose, sbilanciati, dove il docente, nel pieno delle sue funzioni professionali, deve comunque controllarsi e sopportare veementi proteste, rintuzzare diplomaticamente false accuse, rispondere eloquentemente ed educatamente alle violente contestazioni dei genitori, rabbiosi e pronti ad attaccare, insultare ed aggredire (anche non solo verbalmente) il povero docente, minacciandolo magari anche di azioni giudiziarie (oggi va di moda) per punire chi tanto ha osato contro il loro ‘santo’ figliuolo.
Qualcuno pensa, per risolvere il problema, a un’abolizione della bocciatura. Ci appare questa la soluzione peggiore. Una resa della scuola. Forse sarebbe meglio, impresa complicata, educare alcuni genitori. O no?
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