Inflazione. I rincari colpiscono il ricco Nord

di Raffaele Ricciardi, la Repubblica di Milano

La classifica degli stipendi nelle città. Nel corso dell’ultimo decennio, i salari non hanno tenuto il passo dei prezzi: -11% nazionale, ma Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna fanno peggio. Calcola lo stipendio giusto

 

Le aree del Paese più “ricche” conservano il loro primato per pesantezza delle buste paga. Ma i lunghi anni dell’inflazione galoppante ribaltano la prospettiva dalla quale siamo soliti guardare la mappa italiana degli stipendi. Sono proprio territori come il Veneto, ma anche l’Emilia Romagna e la Lombardia, quelli in cui i lavoratori hanno sacrificato maggiore potere d’acquisto alla corsa dei prezzi. Sia chiaro, sono pochi i connazionali che possono festeggiare, a guardare la dinamica parallela di retribuzioni e inflazione nell’ultimo decennio.

La mappa di stipendi e inflazione

Gilda Venezia

 

Il nuovo Geography Index dell’Osservatorio JobPricing, il report che analizza le retribuzioni dei dipendenti del settore privato a livello regionale e provinciale, segnala che nell’ultimo decennio soltanto a Reggio Calabria, Campobasso e Potenza l’aumento di prezzi e retribuzioni è andato di pari passo, proteggendo così il potere d’acquisto. Da Como (quarto in classifica) in giù, tutti noi abbiamo dovuto tagliare qualcosa del nostro stile di vita, a meno di attingere ai risparmi o altre fonti di reddito diverso dal lavoro, per far fronte ai rincari.

L’andamento di buste paga e prezzi

Eppure, negli ultimi tempi le buste paga sono anche cresciute (rarità per l’Italia) in modo significativo: +3,1% nel 2024, dopo un +2 e +3,3% nei due anni precedenti. Ma venivamo da sei-sette anni di stagnazione e la fiammata dei prezzi non ha lasciato scampo sull’orizzonte decennale. In media, lungo lo Stivale il delta tra le due voci è stato negativo per 11,3 punti percentuali,purtroppo a sfavore degli stipendi, tra il 2015 e il 2024. E il trend pare ancora in prosecuzione: rileva la Cisl – questa volta guardando alle retribuzioni contrattuali – che nel primo semestre del 2025 queste sono cresciute del 3,5% sul 2024; ma se guardiamo al dato depurato dall’inflazione restano inferiori di circa 9 punti rispetto a quelle del 2019.

Numeri che lasciano un pesante strascico nelle famiglie, perché l’inflazione picchia più duro su chi ha minore capacità di spesa. E negli ultimi tempi, beffa oltre il danno, è stata fortissima prima sulle bollette e poi sulla spesa al supermercato: è stata l’Istat, pochi giorni fa, a certificare un boom dei prezzi dei beni alimentari (cibo e bevande non alcoliche) arrivato al 30,1% nel luglio 2025 rispetto al livello medio del 2019. Spese difficilmente comprimibili, a meno di non tirare la cinghia nel verso senso della parola.

Se questo è il quadro, nel Paese dei campanili ogni territorio racconta una storia diversa. E il Geography Index mostra infatti come in Veneto si sia raggiunto un bilancio negativo del 16,5% del potere d’acquisto negli ultimi dieci anni, frutto di un +4,5% dei salari a fronte di un inflazione del 21 per cento. Tolte l’Umbria (-14,9%) e la Sicilia (-13,6%), la battaglia tra buste paga e cartellini sui prodotti ha visto soccombere i residenti di Friuli Venezia Giulia (-13,6 per cento), Emilia Romagna (-13,4 per cento) e Lombardia (-12,6 per cento). «A ben vedere – ragiona Matteo Gallina, responsabile dell’Osservatorio JobPricing – la ragione delle “performance” peggiori sta soprattutto nella dinamica dei salari: dove questi sono più alti, ben al di sopra dei minimi previsti dai Ccnl, molte imprese hanno probabilmente fatto la scelta di assorbire gli incrementi contrattuali, limitando la crescita delle retribuzioni effettive. Al contrario, nelle aree in cui le retribuzioni sono più basse, la percentuale di lavoratori e lavoratrici pagati al minimo contrattuale, che quindi hanno potuto beneficiare appieno del rinnovo dei minimi, è di gran lunga superiore. L’inflazione, invece, non ha guardato in faccia a nessuno: salvo rare eccezioni, i dati Istat mostrano una sostanziale omogeneità su tutto il territorio nazionale».

L’analisi scende fino al livello cittadino: tra le 40 maggiori province, è Bolzano quella che esce con le ossa rotte (-20,4% di potere d’acquisto) seguita da Verona e Genova intorno al -17 per cento. Napoli (-15,6 per cento), Bologna (-13,2 per cento) e Milano (-12,5 per cento) sono altri grandi centri che si trovano nella colonnina destra di questa amara classifica. Si salva, in questa gara a chi fa meno peggio, Roma: il gap tra stipendi e prezzi si “limita” al -7,3% e ancor meglio fa Torino a -5,9 per cento.

Città e prezzi

Gilda Venezia

 

Questi ragionamenti, ovviamente, non vanno a identificare dove il potere d’acquisto sia maggiore, ma in che misura sia migliorato o peggiorato nell’ultimo decennio. Se si guarda ai valori assoluti delle buste paga, i pesi lungo lo Stivale restano distribuiti con una modalità a noi più familiare: dove c’è più manifattura si fatica rispetto a dove sono più presenti i “white collar”.
Su sette Regioni che presentano stipendi superiori alla media, ben sei sono situate nel Nord Italia. La Lombardia, come negli anni precedenti, si conferma la regione con le retribuzioni più elevate: 34.614 euro di Rga, la “retribuzione globale annua” che comprende anche le parti variabili di stipendio, a fronte di un valore nazionale di 32.402 euro. È seguita da Lazio e Trentino-Alto Adige, mentre il fondo della graduatoria è occupato da Basilicata, Calabria e Molise che si trovano tra 27 e 28mila euro.

Top e flop degli stipendi

Gilda Venezia

E ancora, in cima alla classifica provinciale, Milano continua a primeggiare con una Rga di 38.544 euro. Per intendersi, fatto 100 euro lo stipendio medio italiano, sotto la Madonnina si sale a 119 euro. A seguire ci sono Bolzano, Trieste, Roma e Genova. Folta la pattuglia di province dell’Emilia e della Lombardia nella parte alta della classifica: Bologna, Piacenza, Parma, Modena e Reggio Emilia figurano tra il sesto e il tredicesimo posto; Monza Brianza, Brescia, Bergamo e Como tra il dodicesimo e il diciassettesimo. Mentre in coda alla classifica sono Ragusa, Crotone e Cosenza le province con retribuzione più bassa, sotto i 27mila euro.
Resta comunque un qualche movimento di fondo positivo, spiegato anche dal periodo dinamico per il mercato del lavoro, con la competizione a trovare personale che ha generato qualche ricaduta positiva in busta paga. Negli ultimi anni, le regioni del Sud e delle Isole stanno crescendo a un ritmo più sostenuto rispetto al Nord.
Dal 2015 al 2024 l’aumento medio delle retribuzioni in queste Regioni è stato del +12,8 per cento, contro il +9% di quelle settentrionali e l’11,7% di quelle centrali. Questo andamento ha contribuito a ridurre, seppur lentamente, il divario retributivo, passato dal 18,6% del 2015 al 14,7% nel 2024.

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