Hikikomori: un fenomeno che tocca 200mila adolescenti
di Aluisi Tosolini, La Tecnica della scuola
Intervista di Veltroni a Marco Crepaldi. Cause, tre fasi, smartphone e social. Il ruolo della scuola.
Walter Veltroni ha realizzato una lunga ed interessantissima intervista a Marco Crepaldi, psicologo e presidente dell’associazione Hikikomori Italia, pubblicata oggi a pag. 20 e 21 del Corriere della sera.
Si tratta di una intervista davvero molto importante e utile anche per il mondo della scuola, oltre che per le famiglie e tutti coloro che si occupano di adolescenti. L’intervista parte dalla definizione di hikikomori, o ritiro sociale, e poi ne analizza le fasi. Si tratta di una realtà che riguarda la vita di circa 200mila di adolescenti e delle loro famiglie. Un disagio nuovo, profondo, terribile.
Le tre fasi del ritiro sociale
Crepaldi identifica, sulla scorta degli studi internazionali e nazionali, tre fasi. La fase 1 inizia con l’abbandono della socialità (oggi tra i cinquantamila e i settantamila adolescenti). Il ragazzo o la ragazza va a scuola spesso con difficoltà, con manifestazioni di insofferenza e un rifiuto saltuario di recarsi in aula. E poi ci si ritira da tutto, dallo sport, dalle uscite con gli amici.
La fase 2 è quella dell’abbandono scolastico.
La fase 3 è quella del rifiuto totale, quando la porta della stanza dei ragazzi si chiude e finiscono i rapporti con i genitori, che non riescono più a comunicare. Padre e madre vengono vissuti come una fonte di ansia sociale equiparabile a quella da cui si fugge nella società. Io scappo dalla scuola perché mi mette ansia, scappo dai genitori perché mi mettono ansia. A quel punto la situazione si aggrava. Se un ragazzo non esce più dalla camera da letto anche i genitori hanno margini di manovra molto bassi.
Che ruolo ha la scuola?
L’intervista tocca molto da vicino anche la scuola. Nella prima fase, anche a causa della scarsa collaborazione dei ragazzi sia la scuola che i genitori faticano a comprendere la situazione, l’ansia, il burn out. Nella seconda fase, «quella conclamata, il ragazzo non va più a scuola e quindi si comincia a cercare di capire cosa fare. Spesso in questa fase si commettono degli errori: staccare internet, pressare il ragazzo a tornare a scuola con le minacce. Bisogna invece valutare con la scuola un piano didattico personalizzato che possa aiutare il ragazzo a trovare una propria dimensione anche all’interno di uno spazio che gli appare faticoso, stressante, spesso anche a causa del bullismo o delle pressioni per i voti».
Più ragazzi che ragazze?
Si tratta di un fenomeno prettamente maschile. Dice Crepaldi: «Sono soprattutto uomini. Su dieci genitori che ci contattano, otto hanno figli maschi. E sembrano mediamente anche più gravi, nel senso che i casi più cronici, quelli che sono isolati da dieci, vent’anni e che non danno segni di miglioramento, sono spesso maschi. Secondo il Cnr, l’isolamento moderato, quello pre abbandono scolastico, è invece trasversale tra ragazze e ragazzi».
Il ruolo dei social e dello smartphone
Veltroni e Crepaldi ragionano poi su un tema molto discusso a partire dal libro “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt e dalla correlazione tra ansia diffusa e smartphone. Al riguardo Crepaldi sostiene che «gli studi sono concordi nel certificare l’impatto sull’ansia sociale di questi strumenti e sicuramente l’ansia sociale innesta un circolo vizioso. Un po’ come l’hikikomori. Cioè più tu scappi, più alimenti la paura, più la paura ti schiaccia”. Da qui la richiesta/proposta di graduare “l’accesso ai mezzi e soprattutto fare educazione digitale. Ma questo si scontra con le multinazionali, che vogliono ragazzi dipendenti dallo smartphone. La regolamentazione andrebbe fatta a monte, cioè da chi progetta o regola questi strumenti ormai evidenziati dalla letteratura scientifica come disfunzionali nella crescita, soprattutto dei giovani”.
Quali sono le cause dell’hikikomori?
Decisamente interessanti le risposte di Crepaldi alle domande sulle cause del fenomeno. Tra queste soprattutto le forti pressioni di realizzazione sociale: “la società sta accelerando la sua velocità e chiede risultati di successo presto, troppo presto. I social hanno aumentato il confronto sociale con altre persone alimentando la paura di non essere all’altezza, di rimanere fuori”. Vi sono poi moltissime altre cause connesse in sostanza con la crisi della speranza, la fine di ogni prospettiva, pur in un contesto di benessere complessivo che rende possibile ritirarsi dal mondo e restare inattivi.
I primi segni cui prestare attenzione
L’intervista continua approfondendo molti altri temi (ruolo della famiglia, inversione ritmo sonno veglia, significato dei games on line, dei social e dello scrolling …) e si chiude con due interessantissime riflessioni sul ruolo della famiglia e della scuola.
Si tratta di essere capaci di cogliere segnali che in realtà sono difficili da cogliere perché si mischiano e si intersecano con l’adolescenza. Dice Crepaldi: “Sono manifestazioni di chiusura nei confronti dei genitori, il non aprirsi emotivamente, il non comunicare le proprie emozioni. Ma uno dei campanelli d’allarme più chiari è l’insofferenza scolastica. È un segnale d’allarme che dovrebbe attivare il consiglio di classe per valutare l’adozione di un Piano didattico personalizzato prima che si arrivi alla fase due, al rifiuto della scuola. Il disagio può essere riconosciuto più dagli insegnanti che dai genitori perché il ragazzo a rischio hikikomori è quello che non si alza al cambio dell’ora, che all’intervallo non parla con nessuno, che nell’interrogazione orale suda e manifesta ansia”.
Quale consiglio per insegnanti e ai genitori?
Da qui il primo consiglio agli insegnanti: “formarsi, studiare il problema e essere più flessibili. Questo disagio non è un capriccio, è un problema serio. Non accettiamo mai che la scuola diventi un centro di sopravvivenza. Un luogo in cui chi riesce a farcela diventerà forte e chi non ce la fa verrà espulso dal sistema. Il consiglio è non bocciare con l’illusione che questo serva a stimolare, perché in questi casi bocciare vuol dire condannare all’inizio dell’isolamento. Spesso la scuola se ne lava le mani: se il ragazzo non viene a scuola io lo devo bocciare. Il consiglio che danno ai genitori è: ritirate questo ragazzo e fategli fare la scuola da privatista, scaricando il problema sulla famiglia”.
Parole dure sulle quali riflettere.