Filiera tecnologico-professionale: “4 + 2 = 0”

di Giovanna Lo Presti, La Tecnica della scuolA

Filiera tecnologico-professionale: “4+2=0”. Una riforma su cui domina la confusione imperante.

 

Sono reduce da una vivace riunione di insegnanti torinesi, che ha avuto come oggetto il confronto sul tema della filiera tecnologico-professionale, quella più nota come “4+2”. Chi ha trovato il titolo per l’incontro, che si è svolto a Torino, nella sede dell’Unione culturale (ricordare ogni tanto, anche con piccoli segni concreti, che scuola e cultura non sono dimensioni separate) è stato spiritoso: “4+2= 0”. Zero formazione culturale e zero prospettive lavorative assicurate. Questa discalculia mi è sembrata densa di significato, mi è piaciuta e l’ho adottata come titolo del mio articolo, dedicato ad una breve sintesi di ciò che ho sentito ieri e ad una ulteriore analisi dei limiti del “4+2”.

Il quadro che è emerso dai numerosi interventi si può presentare così: nelle scuole in cui il “4+2” è già operativo regna la massima confusione, in quelle in cui i collegi docenti sono riusciti a respingere l’attuazione del nuovo percorso si respira una discreta soddisfazione per il giudizio negativo del Collegio docenti, temperata dal timore che le scuole che faranno resistenza alla presunta innovazione siano troppo poche.

In che cosa consiste la confusione imperante nelle scuole che hanno sperimentato già dagli scorsi anni il “4+2”? Nel fatto che tutto sia incerto e variabile: persino gli orari di servizio dei docenti non sono pubblici ma consegnati ai singoli insegnanti, per non parlare dei quadri orari, delle diffuse e non giustificate compresenze (forse per inverare la profezia di Valditara, secondo la quale non si perderanno cattedre nonostante la “riforma”, almeno per ora). Il racconto è pieno di particolari inquietanti: quello che appare certo è che il Collegio docenti, spinto dalla dirigenza, ha scelto già dagli scorsi anni il “4+2” ma non è mai stato coinvolto nelle scelte didattico-organizzative. Possibile, ci si chiederà? Temo di sì, anche perché l’allure ministeriale è proprio questa: si è varata la riforma, senza preoccuparsi di mettere a punto i decreti attuativi necessari a definire quadri orari, organici e linee didattiche. Un unico punto positivo emerge a favore del “4+2” : le classi sono formate da pochi studenti. Ma questo altro non è che un effetto collaterale della ferma volontà ministeriale di formare il maggior numero di classi possibile, con il maggior numero di indirizzi possibile.

Le ragioni che hanno portato altre scuole a respingere una riforma che si presenta come “ordinamentale” e, per bocca del ministro, addirittura “obbligatoria” sono tante. Vedo di mettere in evidenza gli aspetti principali:

1) La confusione volontariamente creata sulla natura “obbligatoria” del percorso “4+2”. Di tale obbligatorietà non si trova traccia in nessuna disposizione ministeriale che riguardi la filiera in questione, nemmeno nei documenti più recenti (Llegge 30 ottobre 2025; Decreto ministeriale n. 221 del 14 novembre 2025; n. 164; nota n. 2242 del 21 novembre 2025). In realtà il ministro Valditara ha parlato più volte di “obbligatorietà” dell’attivazione dei percorsi. Riportiamo la risposta di Valditara ad una intervista al Messaggero:

(Domanda) “Come va il 4+2? (Ministro) «È partito molto bene, con quasi 10mila iscritti tra primo e secondo anno. La novità di scorsa settimana è tuttavia che lo abbiamo reso obbligatorio: ogni scuola dovrà proporre almeno un corso, organizzato in collaborazione con Its e imprese. Ovviamente se non sarà in grado di sviluppare un percorso di qualità, la proposta non sarà accettata dal Ministero».

Ripeto: di tale obbligatorietà non c’è traccia a livello normativo, a meno che non si sia arrivati a considerare le parole del ministro come aventi forza di legge, una riproposizione, insomma, dell’ “Ipse dixit”. Sono però certa che Valditara non esiterà a forzare la mano ulteriormente per imporre una presunta riforma che porti la sua firma in calce. Per ora, per spingere avanti il “4+2” si sono usati parecchi mezzucci; per esempio, nelle disposizioni che ho appena citato non si dice esplicitamente che il Collegio Docenti, responsabile dell’approvazione del PTOF, debba dare il suo assenso affinché il percorso del “4+2” possa essere varato. Insomma, se dovessi riassumere, dovrei dire che il MIM gioca in modo non propriamente leale pur di mandare avanti un progetto che non è, di suo, molto popolare.

Che le cose non vadano a gonfie vele per la “riforma”, è confermato dal fatto che la data di presentazione dei progetti del “4+2” sia stata spostata in avanti (dal 10 al 22 dicembre 2025) con nota 2406 del 10 dicembre 2025, in cui si specifica che ciò è causato dalla necessità di rispondere “ad alcune richieste di chiarimento pervenute dalle istituzioni scolastiche e dagli Uffici scolastici regionali concernenti le modalità di presentazione dei progetti per l’attivazione dei percorsi 4+2 e le procedure di verifica e valutazione degli stessi”. E ci credo, vista la chiarezza cristallina che ha caratterizzato le disposizioni normative precedenti.

Tutte queste, però sono quisquilie a fronte dei veri problemi che presenta la “riforma” delle scuole tecniche e professionali. Per non annoiare troppo chi legge individuo gli aspetti più inquietanti:

a) l’idea, di per sé irrazionale, che in quattro anni si possa avere un grado di istruzione equivalente a quello che si avrebbe in cinque. Aggiungiamo il fatto che il segmento tecnico-professionale (quasi la metà delle scuole superiori in Italia) raccoglie gli studenti scolasticamente più deboli, proprio quelli che più di altri avrebbero bisogno di essere sostenuti. Che quattro anni non siano l’equivalente di cinque lo conferma anche l’indagine di quest’anno di Eduscopio, che mette in evidenza come gli studenti usciti dai percorsi liceali quadriennali, abbiano, all’università, una resa inferiore, in termini di voti, rispetto a chi è uscito da un corso quinquennale. Considerato che si tratta di licei quadriennali, pensiamo a quale potrebbe essere il calo per studenti usciti dalla filiera tecnico-professionale;

b) l’idea, ancor più balzana ancorché diffusa da politici ed imprenditori, che il problema della disoccupazione giovanile sia legato ad una inadeguatezza del sistema scolastico, che non formerebbe le figure professionali richieste dal mercato del lavoro. Ora, se la disoccupazione giovanile in Italia sfiora il 20%, attribuire questo record negativo ad una insufficienza del sistema scolastico mi pare pura ideologia. Faccio un esempio per tutti: ci dicono che in Italia manchino medici ed infermieri. Tra il primo gennaio 2023 e il 21 settembre 2024 le richieste ufficiali di poter lavorare all’estero nel settore sanità sono state 11.720, il 54% dei quali medici, il 31% infermieri. Nel periodo tra il 2011 e il 2024 sono emigrati dall’Italia 630mila giovani, pari al 7% dei giovani residenti in Italia; negli ultimi anni ci sono state le percentuali più alte. Nel triennio 2022-2024, il 42,1% dei giovani che lasciano l’Italia è formato da laureati. A meno di non voler essere ottusi, si può ancora sostenere che la scuola non formi i giovani in modo adeguato al mercato del lavoro? Sembra più probabile che il mercato del lavoro nostrano non offra ai giovani condizioni di lavoro dignitose, ad iniziare da retribuzioni misere;

c) la scuola non deve rincorrere le esigenze del mondo produttivo. Questa “rincorsa” in un periodo di accelerazione tecnologica quale il nostro è particolarmente sbagliato. Chi inizia oggi la scuola superiore, tra quattro anni si troverà di fronte a novità che quattro anni prima non esistevano. La scuola tecnica, più di altre, dovrebbe formare e non addestrare e dare ampio spazio a quelle materie che, forse, i giovani diplomati non approfondiranno più nell’eventuale percorso universitario. L’importanza della formazione umanistica all’interno degli istituti tecnici e professionali non sarà mai abbastanza ribadita;

Saremmo davvero felici se i nostri giovani venissero edotti già a scuola dei meccanismi che regolano il lavoro dipendente. Dalla sicurezza nei luoghi di lavoro, alle varie forme di flessibilità lavorativa oggi in atto, dai diritti dei lavoratori alla struttura del salario: ecco cosa i ragazzi dovrebbero conoscere.

Infine, a scuola si va per imparare, non per essere addestrati al lavoro futuro.

L’appello da rivolgere a tutte le scuole tecniche e professionali è di leggere i documenti ministeriali, prender atto dell’inconsistenza della proposta del “4+2” e rispedirla a chi l’ha elaborata e non si è dato pena di mettere a punto gli aspetti essenziali di una riforma, trascurando tutto dai quadri orari all’aspetto pedagogico, messo da parte, ancora una volta, in nome della subordinazione della scuola al mondo del lavoro.

Per eventuali contatti e richieste di chiarimento: Giovanna Lo Presti – Torino (giovannalp@hotmail.com)

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