Aumenta il prezzo dei libri di scuola: si potrebbe investire in istruzione anziché in armi
da il fatto quotidiano
A ogni nuovo anno scolastico la sua – vecchia – croce. I costi da affrontare per permettere a un figlio o a una figlia di andare a scuola e assolvere all’obbligo scolastico continua a dare il mal di testa. Perché l’aumento dei prezzi non conosce sosta. A differenza dei salari. Fermi. Al palo. Impaludati.
Prendiamo le penne, le matite, gli evidenziatori: +6,9% in un solo anno, addirittura +24,2% dal 2021. I quaderni? +1,5% sull’anno scorso, in linea con l’inflazione generale, ma ben +20,3% in quattro anni. La spesa più pesante rimane però quella per i libri di testo.Dal 2005 a oggi, cioè negli ultimi 20 anni, per i libri scolastici siamo a un +25%. Stando alla denuncia del Codacons, nel 2024 si è registrato un +18% sul 2023. E dall’anno scorso si registra un ulteriore +2,8%, superiore al tasso di inflazione programmata, pari a un +1,8%.
A fronte di studenti e studentesse che diminuiscono nel numero, dagli 8,7 milioni del 2004/05 ai 7,9 milioni attuali, aumenta invece la spesa per libri, che sale dai 705 milioni di euro annui del 2006 agli 800 attuali. Meno studenti, presumibilmente meno libri, ma assai più cari.
La spesa per i libri scolastici alle superiori ammonta così a circa 500€ annui per gli studenti delle scuole superiori (circa 350€ per quelli delle medie). Se guardiamo agli stipendi che si pagano nel nostro Paese, significa che mezza mensilità se ne va solo per questa voce.
Gli editori danno la colpa all’aumento del prezzo della materia prima, la carta da macero. Che in effetti ha fatto registrare un +52% dal 2023 a oggi. Ma questa è una spiegazione di comodo e che, volutamente, occulta altri fattori.
Uno su tutti: il mercato dei libri di testo è un oligopolio. L’80% della torta – schizzata come detto a 800 milioni all’anno – è oggi spartita tra quattro soli gruppi: Mondadori, Zanichelli, La Scuola e Sanoma.
Mondadori Scuola, così come Mondadori Education, D Scuola e De Agostini Scuola, appartiene alla holding editoriale Gruppo Mondadori, che è leader del settore, con una quota di mercato pari al 32%. Il 53,3% del capitale sociale del Gruppo Mondadori è di proprietà della Fininvest S.p.A., holding finanziaria alla cui presidenza troviamo Marina Berlusconi. Sarà un caso ma Forza Italia, il cui rapporto “viscerale” con la famiglia Berlusconi è tutt’altro che un mistero, pur rivendicando un giorno sì e l’altro il suo essere una forza liberale, mai si è stracciata le vesti per portare un po’ di concorrenza nel settore libri scolastici.
Questo oligopolio rende più difficile sconfiggere anche la piaga delle “nuove edizioni”, che ogni anno impediscono di poter passare il libro di testo di figlio in figlio. Più che nuove edizioni – è il segreto di Pulcinella che conosce chiunque in una scuola ci abbia messo piede, da studente o docente – in moltissimi casi si tratta di nuove impaginazioni. Cambia la copertina, cambia il posizionamento nelle pagine, ma i contenuti si ripetono uguali. Qualcuno controlla per impedire queste pratiche “fraudolente”? Ovviamente no…
E così l’Italia tra i grandi Paesi della Ue è quello con la più alta spesa pro-capite per libri scolastici. Per abbatterla, però, più che un’iniezione di mercato, servirebbe copiare alcune delle misure già in vigore a scuola dei nostri vicini. In Germania alcuni Land, gli Stati federati, offrono gratuitamente tutto il materiale didattico, quindi non solo i libri di testo. A Berlino le famiglie sono tenute a contruibuire con una cifra forfettaria di 100€ l’anno per tutto il materiale, ma sono previste esenzioni per i redditi più bassi e i genitori in difficoltà economica.
In Francia all’obbligatorietà dell’adozione di un libro di testo si sostituisce l’uso di dispense e/o libri forniti dalla scuola stessa, così che le spese vengono abbattute. In Italia già esiste una strada simile: si tratta di un regime di “autoproduzione” in cui sono i professori a preparare dispense per i propri studenti.
In Olanda, Belgio e Svezia la regola di fondo è che le spese scolastiche per l’età dell’obbligo sono coperte dalle casse pubbliche. A eccezione di contributi chiesti a mo’ di cauzione (in caso di eventuali danneggiamenti al materiale didattico) o per fotocopie e manuali (nell’ordine di qualche decina di euro all’anno), scuole medie e superiori sono gratuite.
Se volessimo abbattere per davvero la spesa per materiali scolastici, a partire dai testi, dovremmo adottare un approccio simile. Che avrebbe ripercussioni positive non solo sulle tasche di tante famiglie lavoratrici, ma anche – ad esempio – sulla lotta alla dispersione scolastica.
Per questa svolta serve una battaglia sull’utilizzo dei proventi delle tasse pagate soprattutto da lavoratori e lavoratrici. L’Eurostat certificava che nel 2020 l’Italia spendeva solo lo 0,65% del Pil nell’istruzione secondaria. La metà di quanto investito da Germania (1,31%) e Francia (1,26%).
Anziché raddoppiare la spesa militare, dall’attuale 2% al 5% del Pil, come ordinato da Usa e Nato, la spesa da raddoppiare sarebbe quella in istruzione. Non è solo una lotta per una scuola pubblica gratuita ed efficiente. È anche battaglia per il salario. Che non significa solo battaglia per buste paga più pesanti. È anche battaglia per il salario indiretto, cioè per un welfare state universale che assicuri gratuitamente la fruizione delle necessità di base: salute, trasporti, istruzione. Il pane, ma anche le rose.