A scuola paritaria anche senza “buono”
di Tommaso Agasisti, La Voce.info
Il “Buono scuola” di Regione Lombardia è stato introdotto per favorire la libertà di scelta educativa delle famiglie. Ma forse non è lo strumento giusto, perché quando è stato tagliato, le iscrizioni alle scuole paritarie sono rimaste stabili.
Il “Buono scuola” della Lombardia
Il dibattito sulla libertà di scelta educativa delle famiglie, e in particolare sugli strumenti finanziari per sostenerla, non è nuovo. In estrema sintesi, i sostenitori del buono scuola lo vedono come uno strumento per stimolare il potere contrattuale delle famiglie, favorire l’innovazione e la competizione tra scuole e, per questa via, ottenere risultati migliori a livello di sistema educativo. Gli oppositori ritengono che il buono scuola promuova più segregazione tra scuole e sottragga risorse preziose a quelle statali. Entrambe le argomentazioni hanno un proprio valore. Può essere dunque opportuno osservare empiricamente cosa sia accaduto nelle poche esperienze in cui è stato possibile offrire un sostegno finanziario alle famiglie. Nel nostro paese, è accaduto in Regione Lombardia nei primi anni Duemila.
Nel 2000 infatti la giunta regionale del presidente Formigoni ha promosso e realizzato la sperimentazione su larga scala di un “buono scuola” finalizzato, in modo esplicito, a favorire la scelta delle scuole non statali paritarie da parte delle famiglie residenti in Lombardia. Il “buono scuola” aveva un importo significativo: il 25 per cento dell’importo della retta, con un massimale di 1.250 euro per figlio (il limite era innalzato al 50 per cento per le famiglie svantaggiate economicamente e per gli studenti disabili). Allo stesso tempo, i requisiti per l’accesso erano piuttosto larghi: di fatto, la maggioranza delle famiglie che optava per una scuola non statale riceveva il contributo, il cui importo medio nel 2008-2009 (ultimo anno antecedente a un primo cambiamento) era pari a circa 700 euro. Purtroppo, ci sono pochi studi rigorosi che dimostrino se tale politica abbia generato nel tempo effetti positivi.
Lo studio
In un recente lavoro di ricerca, con alcuni colleghi ci siamo occupati di un aspetto specifico del problema: la sostanziale riduzione negli ultimi anni del finanziamento della politica del “Buono scuola” (oggi denominata Dote scuola) da parte di Regione Lombardia.
Abbiamo analizzato il periodo dal 2013 al 2019 e il taglio è avvenuto intorno al 2016: alla misura sono stati destinati infatti 55 milioni nel 2015, 25 milioni nel 2016 e 20 milioni dal 2017 (da allora, sono stabili). Il drastico e repentino calo nei finanziamenti ha comportato sia una riduzione del numero di famiglie beneficiarie che dell’importo destinato.
Ci siamo dunque domandati se la riduzione dei finanziamenti ha ridotto l’efficacia del “Buono scuola”.
Per rispondere alla domanda, abbiamo osservato la dinamica degli iscritti al primo anno delle scuole paritarie in Lombardia (che abbiamo scelto come criterio di valutazione dell’efficacia della politica) a confronto con quanto avvenuto nelle altre regioni italiane, nel corso del tempo. Nello specifico, abbiamo utilizzato una metodologia analitica di valutazione denominata differences-in-differences. Per evitare di confrontare le dinamiche di iscrizione alle scuole paritarie in contesti sociali, territoriali e culturali troppo diversi tra loro, abbiamo effettuato un confronto considerando solo le province “di confine”, comparando le lombarde con quelle limitrofe di altre regioni nelle quali la politica del “buono scuola” non è stata adottata. Per tenere conto delle caratteristiche strutturali del territorio, abbiamo inserito nell’analisi econometrica diverse variabili “di controllo” per le differenze tra province, ad esempio il rapporto studenti-docenti nelle scuole statali e il tasso di disoccupazione a livello provinciale.
L’ipotesi che abbiamo testato è che, se la riduzione dei fondi del “Buono scuola” avesse avuto un effetto negativo, avremmo dovuto osservare (al netto delle variabili di controllo strutturali descritte) un calo della proporzione di iscritti nelle scuole paritarie.
I risultati sono interessanti: non emerge correlazione tra riduzione dei finanziamenti e percentuale di iscritti nelle scuole paritarie. Il risultato rimane con diverse modalità di realizzare l’analisi sotto il profilo empirico e riguarda sia le scuole primarie che quelle secondarie di I e II grado (tabella 1). Le scuole paritarie nelle province lombarde raccolgono effettivamente più iscritti (in proporzione) rispetto alle province vicine non lombarde (coefficiente “trattamento”), ma la dinamica di iscrizione non è differente prima e dopo la riduzione di fondi destinati al “Buono scuola” (coefficiente “trattamento * tempo”).
In altri termini, le famiglie lombarde non hanno ridotto la loro (più alta che in altre regioni) propensione a iscrivere i propri figli nelle scuole non statali paritarie, sebbene gli incentivi finanziari per effettuare la scelta si siano drasticamente ridotti negli ultimi anni. Con tale affermazione non si intende argomentare che il “Buono scuola” sia uno strumento “neutrale” per le famiglie lombarde: probabilmente, proseguono nella propria scelta di scuola paritaria pur con un grado di sacrificio e insoddisfazione maggiore rispetto al periodo in cui il “Buono scuola” è stato disponibile e finanziato in modo più significativo. Inoltre, può essere che il “Buono scuola” sia stato nel tempo uno strumento efficace a sostenere la domanda di scuola paritaria.
Le possibili spiegazioni
Come si spiega l’apparente inelasticità della domanda di scuola paritaria rispetto al sussidio ricevuto? Da un lato, può essere che le famiglie scelgano le scuole paritarie per ragioni più forti di quella economica (ad esempio, per ragioni educative specifiche) e sono disposte a utilizzare risorse proprie, che avrebbero destinato ad altre finalità, per compensare la riduzione del sussidio regionale. In questa prospettiva, potrebbe aver giocato un ruolo anche la qualità relativa dell’istruzione nelle scuole paritarie rispetto alle statali (sebbene l’accesso a informazioni rigorose su questo aspetto sia molto difficile, soprattutto per le famiglie). Oppure, il “Buono scuola” non era di importo adeguato a modificare le preferenze rispetto alle scuole paritarie, ossia le famiglie potevano sceglierle anche in assenza di sussidio. Un’ultima ipotesi riguarda la possibilità che le famiglie abbiano “anticipato” l’effetto della riduzione del “Buono scuola”, muovendosi in anticipo (ad esempio, risparmiando le risorse necessarie per tempo). I dati a disposizione, purtroppo, non consentono di analizzare gli scenari alternativi in dettaglio. Quale che sia la ragione, comunque, i risultati implicano alcune riflessioni e azioni di policy importanti.
I sostenitori delle politiche di buono scuola dovrebbero ripensare se e come questo sia lo strumento migliore per favorire una reale libertà di scelta delle famiglie. I risultati ottenuti nella nostra ricerca sembrano suggerire che dovrebbe essere accompagnato da misure che spostino il comportamento della famiglia “al margine”, ossia quella che intende iscrivere i propri figli in una scuola paritaria ma non riesce per ragioni economiche. Accanto al buono scuola si dovrebbero perciò sperimentare strumenti addizionali quali, per esempio, sussidi per il trasporto o per la refezione scolastica. Allo stesso tempo, si potrebbe pensare a un utilizzo delle risorse per politiche alternative finalizzate al medesimo scopo – per esempio, detrazioni fiscali per le famiglie che iscrivono i figli nelle scuole paritarie – per verificare se siano più o meno efficaci del buono scuola nel fornire incentivi alle famiglie (ossia, per verificare se anche per questi strumenti si verifichi una elasticità nulla al valore della retta), eventualmente anche includendo spese educative diverse dalla sola retta di frequenza nel computo di quelle detraibili.