Il prossimo CCNL arricchirà insegnanti e ATA? O non coprirà nemmeno l’inflazione?
da la tecnica della scuola
Finalmente una buona notizia: contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) della Scuola italiana non è stato abolito. Il 9 ottobre scorso (“in un clima costruttivo”, recita il comunicato ufficiale), le organizzazioni sindacali firmatarie hanno incontrato l’ARAN, che ha presentato loro la propria proposta: aumenti “medi” che potrebbero apparire consistenti, se non si considerasse che, essendo lordi, vanno ridimensionati della metà. Per di più — come scrive anche il nostro Direttore — un terzo di questi aumenti già viene erogato nello stipendio (con l’indennità di vacanza contrattuale): per cui docenti e ATA riceveranno in realtà una parte minoritaria della somma dichiarata!
CCNL sempre in ritardo: così l’inflazione aiuta lo Stato a risparmiare sui salari?
Al rinnovo del CCNL Docenti e ATA non sembravano nemmeno pensar più, avvezzi come sono a contratti siglati anni dopo la loro scadenza; quasi fosse “normale” in questo bizzarro Paese parlare di un “presente” già trascorso da non poco tempo.
Il CCNL valido per il triennio 2019/2020/2021 (e pertanto scaduto il 31 dicembre 2021) è stato firmato il 18 gennaio 2024. Data oramai già lontana, tanto che quasi nessuno tra i lavoratori se ne ricorda. Nel frattempo, il 31 dicembre 2024 è scaduto pure il contratto che ancora ARAN e sindacati (quelli “maggiormente” rappresentativi) non hanno firmato. La data della futura firma esiste solo nella mente del Signore (e, forse, dei futuri firmatari): la prossima riunione tra le parti dovrebbe avvenire il 31 ottobre. Intanto la Scuola più povera e negletta d’Europa attende, fiduciosa (o meglio, rassegnata). Per molto meno, i francesi avrebbero messo a soqquadro il Paese.
I ritardi non sono casuali: non sono dovuti ai cronici ritardi delle Ferrovie, né al traffico di Roma, né ai disservizi dei taxi e delle auto blu di Viale Trastevere. L’inflazione gioca sempre a favore dei debitori, mai dei creditori. Qui debitore è lo Stato, che col rinnovo contrattuale dovrebbe aumentare i salari di docenti e ATA; creditori sono docenti e ATA italiani, i meno pagati tra i Paesi sviluppati. Per favorire il debitore, fu abolita la Scala Mobile nel 1992.
«Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità»
Eppure CGIL, CISL, UIL, SNALS, Gilda e ANIEF (i “maggiormente” rappresentativi chiamati a siglare i contratti della Scuola con la controparte governativa) rappresentano tutti insieme una forza notevole, capace di obbligare qualsiasi governo a compiere il proprio dovere. La sola FLC/CGIL conta più di 200.000 iscritti. CGIL, quando vuole, è anche capace di mostrare i muscoli (come dimostra il recente sciopero per Gaza). Le proteste verbali abbondano, anche se — a quanto pare — non bastano a rendere regolari i rinnovi contrattuali.
Comunque vada, docenti e ATA i più poveri della Pubblica Amministrazione
La sensazione dominante tra i docenti, comunque, è che in ogni caso il futuro rinnovo non li renderà tanto ricchi da poter brindare a champagne. Il CCNL già scaduto (l’ultimo firmato), non conteneva nulla per cui far festa. Il compenso concordato, come sempre umiliante, ha mantenuto gli stipendi ben distanti dalla media europea, confermando l’incessante immiserimento delle retribuzioni e del potere d’acquisto di insegnanti — i laureati meno pagati dello Stivale — e ATA.
Battage pubblicitario e realtà
La ratifica di quel contratto era stata preceduta da una massiccia campagna pubblicitaria: tanto da far credere agli altri italiani che i lavoratori della Scuola sarebbero stati presto sommersi dal denaro (mentre perdura nell’italiota medio la persuasione che i docenti se ne stiano tre o quattro mesi in ozio beato). Eppure qualunque docente o ATA può constatare lo scenario infelice delle proprie possibilità economiche attuali (a meno che preferisca chiudere gli occhi per non vedere). L’inflazione reale ufficiale è stata stimata sul +1,6% su base annua a settembre 2025; il carrello della spesa, però, sembrerebbe attestarla su percentuali ben diverse, mentre gli stipendi valgono in realtà il 21% in meno rispetto a dieci anni fa nonostante gli scatti maturati!
Se nell’“aumento” viene calcolato anche quanto già ti danno
Insomma, l’ultimo contratto è sembrato a molti un ennesimo tentativo di abbindolare una categoria considerata piena zeppa di semplicioni creduli. Fu vantato un “aumento” di 124 euro che in realtà comprendeva i circa 100 già erogati dal dicembre precedente. Unico pregio di quel CCNL fu il diritto a tre giorni di permesso retribuito esteso anche ai docenti a tempo determinato (diritto comunque negato ai supplenti con incarico assegnato dal dirigente scolastico). Tuttavia il contratto riguardava il triennio 2019/21: perciò tutti quanti non avevano potuto usufruire di tale diritto in quel triennio, sono rimasti… con le pive nel sacco.
Contratti in ritardo: prassi interessata? Aumentano i carichi, non i soldi
Si prosegue con la pratica, consueta da anni, di firmare il CCNL molto in ritardo. Se va bene, avremo a fine 2025 il contratto 2022/24 — ovvero un contratto scaduto da un anno — firmato quasi a metà del triennio successivo, e che produrrà effetti solo da quel momento in poi.
Sono contenti docenti e ATA di far risparmiare lo Stato a proprio danno, mentre le mansioni di tutti i profili lavorativi vengono intensificate, la precarizzazione aumenta e gli “aumenti” restano irrisori? Sono felici di farsi rappresentare dai partiti e dalle forze sindacali che li hanno ridotti così? O intendono, per modificare strutturalmente la situazione, riprendere l’iniziativa dal basso, partecipando e autogestendo la propria rappresentanza, come già in passato è accaduto?