Giornata Mondiale dell’Insegnante: quanto vale il loro lavoro
di Andrea Carlino,
Giornata Mondiale dell’Insegnante: quanto vale davvero il lavoro di chi forma le nuove generazioni.
Il divario europeo secondo i dati OCSE.
Il 5 ottobre, data simbolo per la Giornata Mondiale degli Insegnanti, il nodo del rinnovo contrattuale nella scuola si intreccia con una questione ancora irrisolta: quanto vale davvero il lavoro di chi forma le nuove generazioni?
I 240 milioni di euro stanziati dal Decreto Scuola, approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 settembre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 settembre, potrebbero rappresentare una prima mossa per sbloccare la trattativa con i sindacati. Eppure, le organizzazioni che siedono al tavolo delle negoziazioni giudicano queste risorse ancora insufficienti per ridurre il gap retributivo che separa l’Italia dal resto d’Europa.
Le risorse del Decreto: un puzzle di fondi esistenti
La cifra messa in campo dal Governo non nasce da nuovi stanziamenti, ma dal riordino di capitoli già presenti nei bilanci del Ministero dell’Istruzione. Nel dettaglio, 98,8 milioni provengono dal Fondo per la valorizzazione del sistema scolastico, 81,4 milioni dai residui del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa relativi al biennio 2022-2023, mentre ulteriori 61,5 milioni derivano dal rinvio al 2026 dell’ordinamento professionale del personale ATA. Una sorta di redistribuzione interna che mira a liberare margini per gli aumenti in busta paga, senza però intaccare le casse statali con nuove voci di spesa. La ricorrenza voluta da UNESCO e ILO torna così a richiamare l’urgenza di condizioni di lavoro eque e di una professione che torni attrattiva per le nuove leve, riconoscendo il valore sociale dell’insegnamento.
Il divario europeo secondo i dati OCSE
Il rapporto “Education at a Glance 2025” dell’OCSE conferma un quadro che alimenta le proteste dei docenti italiani. Gli stipendi nel nostro Paese restano inferiori del 15% rispetto alla media europea, con punte del -18% nella scuola primaria. Il confronto con i singoli Stati rivela distanze ancor più marcate: -70% rispetto alla Germania, -27% rispetto alla Spagna e -23% rispetto alla Francia. Dal 2015 a oggi, mentre diverse economie europee hanno registrato progressi significativi, gli insegnanti italiani hanno visto erodere il proprio potere d’acquisto in termini reali. Gli incrementi lordi in discussione si attestano intorno ai 140 euro medi mensili, distribuiti tra docenti, personale ATA, personale universitario, AFAM ed enti di ricerca. Si tratta di cifre che i sindacati definiscono “tampone”, incapaci di sanare una perdita pluriennale e di garantire un vero riallineamento con gli standard continentali.
Inflazione e prospettive di bilancio
L’inflazione esplosa dopo il 2021 ha accelerato l’erosione dei salari reali, superando di gran lunga gli aumenti prospettati nei contratti pubblici. Le sigle sindacali parlano di “coperta corta”, metafora che sintetizza l’impossibilità di coprire i ritardi accumulati con le risorse programmate. Eppure, il percorso pluriennale delineato dal Governo offre qualche spiraglio: stanziamenti che passano da 1.755 milioni nel 2025 a 3.550 milioni nel 2026, fino a raggiungere 5.550 milioni annui dal 2027. La crescita retributiva tendenziale prevista oscilla tra l’1,8% e il 2%, una forbice che richiede scelte politiche decise se si vuole davvero anticipare risorse e chiudere il divario con l’Europa. La Giornata del 5 ottobre si configura così come un appuntamento nel calendario del confronto istituzionale, momento in cui la valorizzazione economica dei docenti viene riconosciuta come condizione indispensabile per garantire una scuola di qualità.
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