Stipendi, un terzo finisce al fisco

di Alessandro Giuliani, La Tecnica della scuola

Nel 2025 i dipendenti hanno lavorato per lo Stato da gennaio a giugno. Mentre 2,5 milioni di evasori…

 

Mediamente un dipendente si vede “sfumare” almeno un terzo del suo stipendio lordo a causa di trattenute fiscali e previdenziali. Le prime, in particolare, sono le meno sopportate. Il malessere diventa quasi intolleranza se si pensa che esistono sullo stesso territorio nazionale qualcosa come 2,5 milioni di evasori. Il risultato di tutto questo, secondo i calcoli dell’Ufficio studi della Cgia, è che quest’anno, nel 2025, i contribuenti italiani hanno impiegato 156 giorni per onorare tutte le richieste avanzate dal fisco.

Dallo studio, definito dai suoi promotori una iniziativa per “misurare in un modo del tutto originale il peso fiscale che grava sugli italiani”, in pratica si evince che i lavoratori dipendenti quest’anno hanno lavorato per pagare il fisco dal 1° gennaio fino ai primi giorni di giugno. E solo nei restanti 209 giorni, cioè dal 6 giugno fino al prossimo 31 dicembre, hanno avuto la possibilità di operare per sé stessi e per la propria famiglia.

Nella scuola, gli stipendi oscillano tra i 1.400 – 1.500 euro netti destinati agli insegnanti precari e neo-assunti, fino agli oltre 2.100 euro netti per i docenti della secondaria superiore con oltre 35 anni di anzianità (tanto che la media è attorno ai 1.700 euro netti al mese).

Poi ci sono anche gli amministrativi (in media 1.300 euro netti al mese) e i collaboratori scolastici (pagati attorno ai 1.100 – 1.200 euro netti al mese). Tutti compensi che senza il peso fiscale avrebbero avuto un sapore ben diverso.

Ciò accade perché in Italia, dice la Cgia, “i contribuenti onesti versano molte tasse perché ci sono tante persone che non le pagano o lo fanno solo parzialmente”.

Secondo le ultimissime stime dell’Istat – riferite al 2022 – sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche presenti in Italia occupate irregolarmente. “Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva”.

In valore assoluto, a fronte di una media italiana pari al 9,7 per cento, il maggiore tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, si registra in Calabria, dove è pari al 17,1 per cento. Seguono la Campania con il 14,2, la Sicilia con il 13,6 e la Puglia con il 12,6.

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