Dal 2029 in pensione a 67 anni e 6 mesi

di Lucio Ficara, La Tecnica della scuola

Pensioni:  assegno più basso, bonus a chi resta: i docenti sognano l’anticipo dei maestri dell’Infanzia.
Aumento di tre mesi di età e contributi per lasciare il lavoro.

 

Potrebbe costare cara ai lavoratori pensionandi la volontà della Lega di non applicare dal 1° gennaio 2027 l’aumento di tre mesi di età e contributi per lasciare il lavoro, previsto da Istat e Ragioneria dello Stato a seguito dell’innalzamento medio dell’aspettativa di vita in Italia (81 anni per gli uomini e 85 per le donne): il rischio fondato è che a “pagare” i 4 miliardi di spesa pubblica per mantenere gli attuali parametri anagrafici e contributivi per diventare pensionati – 67 anni per le pensioni di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi per quelle di anzianità (12 mesi in meno per le donne) – siano gli stessi pensionandi.
Oltre alla riduzione fisiologica degli assegni di pensione, derivante dalla contribuzione sempre più contributive (mano favorevole) rispetto a quella retributive per i servizi pre 1996, per i prossimi pensionati si sta andando verso un assegno di quiescenza sempre più basso dell’attuale: proprio per ridurre le uscite dell’Inps, i parametri di calcolo della pensione sarebbero sempre a maggiore vantaggio della parte erogante. A questo proposito, non è un caso che negli ultimi tre lustri gli assegni di pensione si siano ridotti di oltre il 5%.

La “sterilizzazione” dei tre mesi per il biennio 2027/28, che riguarda anche alcune migliaia di lavoratori della scuola, dovrebbe arrivare già con la prossima legge di bilancio, ma andrebbe solo a tamponare la situazione.

Dal 2029, infatti, nel caso l’aspettativa di vita dovesse continuare ad alzarsi, sarà molto difficile continuare a fare rimanere immutati i requisiti: il salto dei parametri potrebbe diventare doppio (tutto spostato in avanti di 6 mesi dall’oggi al domani) e in prospettiva si andrebbe dritti filati verso i 70 anni.

Per rendersi conto di dove si sta andando, ricordiamo che qualche mese fa “Investire Oggi” ha commentato il “paradosso” degli “aumenti costanti dei requisiti delle pensioni se la popolazione vive più a lungo”, preannunciando che “due o tre mesi alla volta, molto presto le pensioni di vecchiaia supereranno il tetto dei 70 anni. E non ci vogliono simulatori per capirlo”.

La realtà, hanno scritto gli esperti di previdenza, è che “ogni 10 anni l’età pensionabile rischia di salire di 10/12 mesi, se non di più. Già nel 2034 potrebbero servire 68 anni per lasciare il lavoro, e prima del 2040 si arriverebbe a 69. Per poi andare dritti verso la fatidica quota dei 70 anni”.

Il processo, ci dicono del resto demografi e statistici, appare ineludibile per un Paese, come l’Italia, dove il tasso demografico va sempre più giù (con la stragrande maggioranza delle famiglie che si fermano ad un figlio), il numero di lavoratori attivi diventa sempre più ristretto e la quantità di pensionati aumenta con l’età media di vita.

Lo stesso Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali, presentando il suo XII Rapporto alla Camera dei deputati, ha di recente detto che “in un Paese che invecchia bisogna porre un freno agli anticipi pensionistici e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza”. Inoltre, scrive La Repubblica riportando le parole di Brambilla, sarebbe opportuno “bloccare l’adeguamento automatico dell’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne”. E prevedere “un superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino ai 71 anni di età”.

Rispetto a questa linea, i sindacati non sono per nulla d’accordo. Anche perché vi sono dei settori, come nella scuola, dove l’uscita posticipata dal lavoro andrebbe ad aumentare ulteriormente il burnout, una condizione in cui devono convivere sempre più docenti con oltre 60 anni di età.

.

Condividi questa storia, scegli tu dove!